Il paleoantropologo del Tremila

Le società europee degli anni Duemila vivevano in maniera singolare: da un lato i grandi progressi tecnologici permisero loro di velocizzare e capillarizzare le comunicazioni, di ricevere informazioni d’ogni tipo in “tempo reale”, come si diceva allora, e di viaggiare in ogni angolo del pianeta con enorme facilità e a bassi costi, ma dall’altro lato, invece, vivevano in un perenne spaesamento che, sempre meno latente, alimentava un costante senso di paura. Le ragioni di questa “schizofrenia sociale” sono ancora oggetto di studio e gli storici in proposito non hanno ancora una posizione univoca: probabilmente era dovuta proprio alla rapidità e radicalità della “rivoluzione” che quegli uomini stavano vivendo o, chissà, per l’ansia da passaggio di millennio che fece sentire a lungo i suoi effetti, come sembrano testimoniare i reperti archeologici di numerosi film, un’arte molto diffusa a quel tempo.
A dispetto del loro potenziale livello di conoscenza, molti in quelle società credevano che gli aerei (dei primordiali mezzi volanti di cui facevano comunque largo uso) irrorassero sostanze oscure al fine di diminuire la sovrappopolazione del globo, che i vaccini fossero in realtà dei veleni atti all’assoggettamento da parte delle multinazionali, che l’Altro – una categoria politica molto variabile e adattabile ad ogni contesto – fosse sempre e comunque un sospetto, se non addirittura un criminale o un amorale.
Allora gli abitanti di quel tempo così controverso e ambiguo, ma pure stimolante e incoraggiante, presero delle contromisure. In effetti la loro inventiva era straordinaria e, per certi versi, molto efficace, dato che parecchi si arricchirono non poco smerciando pillole di saccarosio contro le malattie più gravi o semplicemente imponendo le mani sul corpo di un impossessato. Si trattava di pratiche di contenimento dell’angoscia che arrivarono ad alti livelli di diffusione: molti, ad esempio, andarono in viaggio in un villaggio montano di quella che allora si chiamava Francia perché considerato l’unico luogo sul pianeta in cui non sarebbe arrivata la “fine del mondo” predetta dai maya, una civiltà estinta alcune centinaia di anni prima; meno apocalitticamente, ai neonati in fase di dentizione venivano fatte indossare delle collanine d’ambra, mentre a chi soffriva di emicrania o di disturbi cardiovascolari bastava un bracciale di rame; parallelamente, in tutte le città spuntarono negozi specializzati nella vendita di prodotti agricoli certificati di naturalità, nonostante l’inquinamento atmosferico e delle falde acquifere non risparmiasse praticamente nessun appezzamento di terra. Braccialetti, collanine ed etichette assunsero, dunque, il valore di talismani: bastava averle sul corpo o vederle sulla buccia di una banana per giovarsi dei loro benèfici effetti taumaturgici. Insomma, quegli europei del Duemila pensavano di essere moderni, sebbene fossero del tutto simili ai loro avi di diverse decine di generazioni precedenti.
Oggi, però, noi non dobbiamo sorridere di quegli uomini e quelle donne dei secoli scorsi considerandoli dei creduloni avvezzi alla superstizione; noi del Tremila, infatti, non siamo molto diversi da loro quando consideriamo il venusiano sbarcato sulla Terra in cerca di migliori condizioni atmosferiche come un usurpatore d’ossigeno o come un apportatore di virus alieni, o quando riteniamo di difendere le nostre (micro)patrie (ultra)identitarie affidandoci al ciondolo di kriptonite di cui parla il governatore della contea di Villazzano per far fronte alle minacce d’invasione da parte delle armate del confinante principato di Priora.
Non erano moderni loro, non lo siamo noi. E probabilmente non lo saremo mai.

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Studio il rapporto tra gli esseri umani e i loro luoghi, soprattutto quando si tratta di luoghi "a rischio"
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