Questo articolo è apparso su “Corso Italia News” il 20 gennaio 2015: QUI.
Il Novecento è stato il secolo della guerra, con più di cento milioni di morti, più di tutte le precedenti guerre della storia. Questo dato quantitativo, però, non ci dice “come” si sono avute tutte quelle vittime e, soprattutto, “chi” erano quelle persone. Fino a tutto l’Ottocento, le vittime dei conflitti sono soprattutto militari (con delle eccezioni, naturalmente, come ad esempio nel caso della guerra civile americana), ma nel corso del XX secolo il dato si rovescia: ancora nella prima guerra mondiale, la percentuale di vittime civili è intorno al 10-15%, ma già nella seconda guerra mondiale sale al 40%, per giungere infine all’attuale 90%. Le guerre di oggi, dunque, sono di fatto “contro” le popolazioni civili.
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L’articolo originale è corredato dalle seguenti immagini:
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INTEGRAZIONE del 5 febbraio 2015:
«The Committee [United Nations Committee on the Rights of the Child (CRC)] abhors and condemns the targeted and brutal killings of children by the so-called ISIL and in particular:
(a) The systematic killing of children belonging to religious and ethnic minorities by the so-called ISIL, including several cases of mass executions of boys, as well as reports of beheadings, crucifixions of children and burying children alive;
(b) The very large number of children killed and severely injured, as a result of the current fighting, including by air strikes, shelling and military operations by the Iraqi Security Forces, and as a result of land mines and explosive war remnants. This includes deaths from dehydration, starvation and heat in conflict affected areas; and
(c) The high number of children who have been abducted by the so-called ISIL, many of whom are severely traumatized from witnessing the murder of their parents and are subjected to physical and sexual assault».
(Tratto da: “Concluding observations on the combined second to fourth periodic reports of Iraq“, 4 febbraio 2015, p. 5)
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Un sunto si trova sia sull’ “Independent” che sull’ “Huffington Post Italia“.
Secondo Renate Winter, una dei 18 esperti indipendenti del “Comitato dei diritti dei minori”, “si tratta di un problema enorme. […] I bambini vengono utilizzati come kamikaze, compresi i bambini con disabilità e quelli che sono stati venduti ai gruppi armati dalle loro famiglie“.
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INTEGRAZIONE del 24 maggio 2017:
Ha ragione la Comunità di Sant’Egidio, a proposito del terribile attentato di Manchester: «Colpire bambini e adolescenti vuol dire uccidere il futuro». E hanno ragione tutti coloro che da 24 ore scrivono che colpire ragazzi e ragazze è un crimine odioso. [Segnalo Michele Serra, ma ci sono molti altri editoriali, in tutte le lingue].
Forse agli occhi degli europei meno attenti la strage dell’altro ieri sera rappresenta un’escalation, eppure meno di un anno fa sul lungomare di Nizza tra le vittime ci furono decine di bambini (e sapete che, in seguito a quell’abominio, 3000 bambini ricevettero sostegno psicologico?); eppure nel 2012 un viscido terrorista andò a uccidere bambini davanti alla scuola ebraica di Tolosa; eppure, sempre nel 2012, un altro imbevuto di odio massacrò 20 bambini nella scuola elementare di Newtown, in Connecticut; eppure nel 2004 nella scuola di Beslan, nell’Ossezia del Nord, i morti minorenni furono 186 su 333 complessivi; eppure nel 2001 nella discoteca Dophinarium di Tel Aviv i ragazzi morti mentre ballavano furono 21.
Se allargassimo lo sguardo – nel tempo e nello spazio – ci renderemmo conto che la “guerra al futuro” è estesissima; ne scrissi due anni e mezzo fa:
«Le dimensioni odierne della guerra ai bambini sono senza pari. Talvolta si parla ipocritamente di “danni collaterali” (qualcuno ricorda la bomba della Nato che nel maggio 2011 ha colpito una scuola per bambini down a Tripoli, in Libia?), ma la violenza contro i bimbi è ormai un aspetto sistemico di ogni battaglia. I numeri sono così alti che entra in gioco un limite cognitivo anche per chi ne è semplice spettatore: non siamo più in grado di “vedere” i volti, i corpi, gli occhi, le braccia… Quando di morti se ne contano a migliaia, vale solo la statistica, non possiamo più “rappresentare” quel che sappiamo. Per quanto ci sforziamo mentalmente, quelle informazioni restano “astratte” e, a lungo andare, desertificano anche l’emozione, facendo svanire il senso dell’umanità».
Proprio ieri l’Unicef ha reso noto che le violenze e i conflitti in Medioriente e nel Nord Africa stanno mettendo a rischio la salute di 24 milioni di bambini (ripeto: ventiquattro milioni): 9,6 milioni nello Yemen; 5,8 milioni in Siria; 1 milione nella Striscia di Gaza; 5,1 milioni in Iraq; 450mila in Libia; 2,3 milioni in Sudan.
Condivido Mario Calabresi quando scrive che «in questa tragica incertezza abbiamo il diritto e il dovere di crescere i nostri figli, le nuove generazioni, alla voglia di vivere. Dobbiamo avere il coraggio di non chiuderli in casa, di garantirgli un futuro». Così come trovo pertinente l’analisi di Marco Lombardi, il quale spiega che uccidere bambini e famiglie è una precisa stragegia, volta a «“colpire alla pancia”, nella sua dimensione affettiva, l’Occidente».
Ora, però, la questione è che il “qui” non si salva senza il “là”, che “Occidente” – qualsiasi cosa significhi – esiste ed esisterà solo insieme ad “Oriente” (di qualsiasi latitudine). Il globo è uno, così come il futuro: quello che vogliamo per i nostri figli e le nostre figlie è strettamente legato al futuro di tutti i bambini del mondo. Costruire un futuro migliore significa realizzarne uno per tutti.
Lo so, è più facile a dirsi che a farsi, ma il mio è innanzitutto un invito a non concentrarci solo sul nostro – comprensibile – dolore di queste ore, bensì a tenere lo sguardo e la mente aperti, perché contro la violenza estremista non c’è risposta securitaria sufficiente, se non investendo anche in educazione di qualità, equa ed inclusiva.
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PS: ieri, oltre a quella di Manchester, altre stragi sono state perpetrate a Marawi (Filippine), dove un’intera città è in ostaggio dei fondametalisti (per cui il presidente ha imposto la legge marziale in tutta l’isola); a Bangkok (Thailandia), dove una bomba è esplosa in un ospedale; ad Homs (Siria), dove un’autobomba è deflagrata in pieno centro.
CONTINUAZIONE
In questo primo scorcio di XXI secolo, però, a me pare che ci sia un ulteriore mutamento nella pratica della guerra. Sarebbe necessario uno sguardo “per lungo e da lontano”, come dicono gli storici, dunque non so se – dati alla mano – la mia impressione sia supportata da fatti, tuttavia se metto insieme le sole informazioni dell’ultimo anno, mi sembra di vivere in un’epoca in cui l’orrore si è spinto ancora più in là. Stamattina la prima notizia (non confermata) è l’esecuzione di 13 ragazzini che in Iraq stavano guardando una partita di calcio in tv.
Ieri sera siamo andati a dormire sapendo che 50 bambini erano stati rapiti in una zona a cavallo tra Camerun e Nigeria. Se si scorre la timeline di questo tipo di informazioni, gli orrori si susseguono senza sosta: giusto una settimana fa tre bambine sono state imbottite di ordigni e fatte esplodere in altrettanti mercati nigeriani, nel nord-est del Paese l’intera città di Baga è stata devastata provocando, pare, 2000 morti e, all’inizio del mese, altri 40 ragazzi sono stati rapiti nella stessa zona, senza dimenticare le oltre 250 liceali sequestrate nella notte tra il 14 e il 15 aprile 2014 a Chibok.
Alzo lo sguardo sul planisfero e vedo altri puntini rossi, sanguinanti. A Gaza lo scorso luglio, sotto i bombardamenti israeliani, sono morti oltre 2000 civili, ovvero centinaia di bambini, vittime spesso causate dalla stessa cinica strategia di Hamas che usa le scuole e le abitazioni private come depositi di armi; alcuni giorni prima dei fanatici avevano rapito tre ragazzi israeliani, facendoli ritrovare cadaveri, causando così una ritorsione altrettanto orrenda subita da un adolescente palestinese.
Nel febbraio 2014 l’Onu ha denunciato “violenze indicibili” sui bambini in Siria, commesse da tutte le parti in causa durante i tre precedenti anni di guerra: bambini stuprati, torturati, arruolati nei combattimenti, usati come scudi umani e, come si sa, uccisi. Uccisi in un numero impossibile da immaginare: 11mila. Sempre l’Onu ha calcolato che nel 2013, in Afghanistan, i bambini uccisi sono stati 545 e quelli feriti 1149.
A Peshawar, in Pakistan, un mese fa, a metà dicembre del 2014, 130 bambini tra i 6 e i 16 anni, figli di militari, sono stati ammazzati in una scuola pubblica perché gli esecutori volevano vendicarsi del dolore subìto in precedenza, provocando altrettanto dolore.
Negli stessi giorni, a Radaa, nello Yemen, delle autobombe hanno colpito uno scuolabus, uccidendo 15 bambine. Lo stesso è accaduto, sempre in autunno, a Homs in Siria (30 bambini uccisi) e a Kano in Nigeria (48 studenti ammazzati), senza scordare che a Parigi, dieci giorni fa, uno degli attentatori aveva intenzione di compiere un eccidio in un asilo ebraico, come era riuscito parzialmente a fare un terrorista davanti ad una scuola ebraica a Tolosa nel 2012. E come dimenticare la strage nella scuola di Beslan, nell’Ossezia del Nord, nel settembre 2004 (333 morti, di cui 186 minorenni, e 800 feriti), in quell’inarrestabile conflitto tra le piccole repubbliche del Caucaso?
L’elenco, purtroppo, non è completo, nulla sappiamo di quanto avviene nel nord e nel sud del Sudan o in Somalia e nel Kenya settentrionale, completamente sotto silenzio è la situazione nella Repubblica Centrafricana, così come è difficile reperire notizie su altri scontri bellici dimenticati.
Forse non è necessario andare oltre in questo inventario dell’orrore, perché già così ha preso la forma di un vero e proprio conflitto mondiale contro i bambini. Non trovo un altro termine per definire questa sistematica ferocia contro la speranza, contro il futuro.
La nostra storia non è scevra di episodi raccapriccianti, reali o avvolti nella leggenda, ma comunque carichi di violenza: cresciamo con il topos della “strage degli Innocenti” e taluni sono nostalgici di una civiltà, quella romana, nata con l’abominevole “ratto delle Sabine”. Uccidere i bambini del gruppo nemico è una pratica genocida e antica, volta a distruggere l’altro nella sua stessa possibilità di sopravvivere nelle generazioni future. La Shoah e il Porrajmos ne sono esempi emblematici, ma altrettanta ferocia è stata praticata nello sterminio armeno da parte degli ottomani nel 1894-1896 e nel 1915-1916, come testimonia Antonia Arslan, o in Burundi e in Rwanda nel 1993-1994, dove una martellante campagna d’odio radiofonica incitava gli hutu ad avere come bersaglio i bambini tutsi «per spazzare via la prossima generazione».
I carnefici intendono cancellare il futuro del nemico, in un delirio xenofobo e razzista in cui il senso di appartenenza viene completamente svuotato, in nome dell’esclusione dell’altro e della sofferenza a cui va ridotto. Le dimensioni odierne della guerra ai bambini, tuttavia, sono senza pari. Talvolta si parla ipocritamente di “danni collaterali” (qualcuno ricorda la bomba della Nato che nel maggio 2011 ha colpito una scuola per bambini down a Tripoli, in Libia?), ma la violenza contro i bimbi è ormai un aspetto sistemico di ogni battaglia. I numeri sono così alti che entra in gioco un limite cognitivo anche per chi ne è semplice spettatore: non siamo più in grado di “vedere” i volti, i corpi, gli occhi, le braccia…
Quando di morti se ne contano a migliaia, vale solo la statistica, non possiamo più “rappresentare” quel che sappiamo. Per quanto ci sforziamo mentalmente, quelle informazioni restano “astratte” e, a lungo andare, desertificano anche l’emozione, facendo svanire il senso dell’umanità.
Ce lo ricordano alcuni tra noi che, forse pazzi o incoscienti, vanno “là”. Come canta De Andrè, costoro viaggiano «in direzione ostinata e contraria […] per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità». Sono persone preziose non solo per tentare di fermare l’atroce violenza che gli adulti imbottiti di odio e sadismo praticano sui bambini del pianeta, ma anche per noi che restiamo lontani da quei massacri: la generosità e il coraggio di chi parte mosso da un’ideale di compassione e solidarietà, ci protegge dall’indifferenza e da una commozione momentanea che non produce empatia, né muove all’azione.
Nigeria, bambini che testimoniano l’orrore coi disegni:

“Radio France International”, 23 gennaio 2015: QUI
INTEGRAZIONE del 5 febbraio 2015:
«The Committee [United Nations Committee on the Rights of the Child (CRC)] abhors and condemns the targeted and brutal killings of children by the so-called ISIL and in particular:
(a) The systematic killing of children belonging to religious and ethnic minorities by the so-called ISIL, including several cases of mass executions of boys, as well as reports of beheadings, crucifixions of children and burying children alive;
(b) The very large number of children killed and severely injured, as a result of the current fighting, including by air strikes, shelling and military operations by the Iraqi Security Forces, and as a result of land mines and explosive war remnants. This includes deaths from dehydration, starvation and heat in conflict affected areas; and
(c) The high number of children who have been abducted by the so-called ISIL, many of whom are severely traumatized from witnessing the murder of their parents and are subjected to physical and sexual assault».
(Tratto da: “Concluding observations on the combined second to fourth periodic reports of Iraq“, 4 febbraio 2015, p. 5)
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Un sunto si trova sia sull’ “Independent” che sull’ “Huffington Post Italia“.
Secondo Renate Winter, una dei 18 esperti indipendenti del “Comitato dei diritti dei minori”, “si tratta di un problema enorme. […] I bambini vengono utilizzati come kamikaze, compresi i bambini con disabilità e quelli che sono stati venduti ai gruppi armati dalle loro famiglie“.
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“Huffington Post Italia”, 5 febbraio 2015, QUI
ISIS, ONU DENUNCIA: “I BAMBINI IN IRAQ VENGONO USATI COME KAMIKAZE, SCUDI UMANI E SOTTOPOSTI AD ABUSI SESSUALI”
di Redazione
Bambini usati come scudi umani o kamikaze, oppure seviziati e vittime di abusi sessuali. Le Nazioni Unite hanno denunciato il reclutamento in Iraq da parte dei “gruppi armati”, in particolare dell’Isis, di un “alto numero di bambini”, compreso minori con disabilità, per farne dei combattenti o trasformarli in scudi umani o kamikaze oppure per sottoporli a sevizie o abusi sessuali. Non solo: i minori vengono anche brutalmente uccisi tramite crocifissione o sepolti vivi.
“Si tratta di un problema enorme”, ha dichiarato da Ginevra Renate Winter, una dei 18 esperti indipendenti, membri del Comitato dei diritti dei minori dell’Onu, il cui compito consiste nell’assicurare che gli Stati rispettino i trattati internazionali relativi ai diritti dei minori. Le vittime sono per lo più bambini yazidi o cristiani, ma anche sciiti e sunniti.
“I bambini vengono utilizzati come kamikaze, compresi i bambini con disabilità e quelli che sono stati venduti ai gruppi armati dalle loro famiglie”, sottolineano gli autori del rapporto. Alcuni bambini sono stati trasformati in scudi umani per proteggere le installazioni dell’Isis dai raid aerei, obbligati a lavorare ai posti di controllo o impiegati nella fabbricazione delle bombe per i jihadisti.
Winter ha esortato il governo di Baghdad a fare tutto il possibile per proteggere i bambini, pure prendendo atto della situazione e del controllo da parte dei jihadisti di parte del territorio iracheno. Ma il comitato ha sottolineato che alcune violazioni dei diritti dei bambini non possono essere attribuite soltanto ai jihadisti.
“La Stampa”, 5 febbraio 2015, QUI
ISIS, RAPPORTO CHOC DELL’ONU: “BIMBI DECAPITATI, CROCIFISSI, SEPOLTI VIVI”
Il documento presentato a Ginevra: «Il Califfato uccide, tortura e violenta sistematicamente bambini e famiglie di gruppi minoritari in Iraq»
di Maurizio Molinari
Bambini crocifissi, decapitati, venduti come schiavi e in alcuni casi perfino sepolti vivi: i crimini commessi dai jihadisti dello Stato Islamico (Isis) sono elencati e documentati in un rapporto del Comitato Onu sui Diritti del Bambino le cui pagine descrivono violenze sistematiche e brutali ai danni dei minori. In particolare, le prove raccolte dall’Onu – spesso sulla base di testimonianze dirette – confermano che il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi dà ordine di crocifiggere e decapitare bambini, così come di seppellirli vivi. Vi sono state anche esecuzioni di massa di minori mentre quelli risparmiati spesso vengono venduti al mercato degli schiavi con etichette che indicano il prezzo stabilito, come avviene per le donne. In alcuni casi i bambini hanno subito molestie e abusi sessuali, durante la detenzione, e vi sono anche episodi nei quali “i genitori hanno dovuto consegnare i figli a Isis oppure hanno dovuto assistere alla loro esecuzione”.
Renate Winter, esperto del Comitato Onu autore del rapporto, afferma che vi sono poi “altri tipi di violenze inflitte ai bambini” ovvero “vengono usati come soldati e condizionati fino al punto da convincerli a diventare attentatori suicidi”. Le principali vittime di tali orrende violenze sono i bambini di minoranze come i curdi, i cristiani e gli yazidi, considerate “infedeli” nell’ambito di una più vasta operazione di repressione “tesa a distruggere tali minoranze privandole di qualsiasi cosa”.
La conclusione del rapporto è un appello al governo iracheno affinché “intervenga” per “salvare i bambini nelle mani dello Stato Islamico” ovvero lanci operazioni militari di terra in grado di espugnare i territori del Califfato nel Nord del Paese. I crimini ai danni dei minori avvengono anche nelle aree siriane in mano a Isis ma l’Onu evita di rivolgere una simile richiesta al regime di Bashar Assad per non legittimarlo.
“Il Post”, 6 febbraio 2015, QUI
LE VIOLENZE DELL’ISIS SUI BAMBINI
Un rapporto dell’ONU dice che i miliziani del gruppo estremista crocifiggono, bruciano vivi e vendono come schiavi del sesso i bambini iracheni
di Redazione
Mercoledì 4 febbraio il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia (CRC, la sigla in inglese con cui è conosciuto) ha diffuso nuove informazioni sullo Stato Islamico (IS o ISIS), riguardanti alcune pratiche particolarmente brutali nei confronti dei minori. Il CRC ha detto che i miliziani rapiscono i bambini iracheni nei mercati per venderli come schiavi del sesso, e crocifiggono e bruciano vivi molti giovani. I ragazzi iracheni con meno di 18 anni vengono usati sempre più spesso dallo Stato Islamico per compiere attacchi suicidi e fare da scudi umani agli edifici presi di mira dagli attacchi aerei statunitensi. Renate Winter, esperto del CRC, ha detto a Reuters che il fenomeno ha raggiunto dimensioni rilevanti.
Durante una conferenza stampa tenuta mercoledì, Winter ha detto: «Sappiamo di bambini, soprattutto con disabilità mentali, usati come attentatori suicidi, molto probabilmente senza capire nemmeno cosa stanno per fare. È stato postato per esempio un video online che mostrava dei bambini, approssimativamente di otto anni o meno, essere addestrati per diventare dei soldati». A metà gennaio lo Stato Islamico aveva diffuso un video che mostrava l’uccisione da parte di un ragazzino di due uomini accusati di essere delle spie russe (il ragazzino era già stato ripreso in passato in un altro video di propaganda dello Stato Islamico e aveva detto di provenire dal Kazakistan). I miliziani dello Stato Islamico, dice il CRC, ha compiuto “sistematici atti di violenza sessuale» su molti bambini. Winter ha aggiunto che la maggior parte dei bambini coinvolti appartiene alle minoranze irachene (cristiani, curdi, yazidi), ma non solo: molti vengono reclutati nei campi profughi.
La valutazione fatta del CRC, formato da diciotto esperti indipendenti, parla anche di diversi casi di esecuzioni di massa e decapitazioni di ragazzi giovani. L’ISIS non è la sola fazione in guerra a violare i trattati internazionali in termini di diritti umani, anche dei minori. L’ONU ha scritto che anche le milizie irachene che combattono contro l’IS reclutano combattenti molto giovani: lo stesso vale per l’Esercito Libero Siriano, il gruppo di ribelli considerato tra i più moderati che combatte contro il regime del presidente Bashar al Assad in Siria.
Il CRC è l’organo delle Nazioni Unite incaricato di controllare che venga rispettata la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, un trattato sui diritti garantiti ai minori di 18 anni sottoscritto da tutti i paesi membri dell’ONU ad eccezione della Somalia, del Sud Sudan e degli Stati Uniti. La Convenzione chiede che tutti i paesi membri si presentino periodicamente al CRC per verificare il loro grado di rispetto dei diritti umani (la valutazione sull’Iraq è la prima del CRC dal 1998). Il documento del CRC è basato su informazioni ricevute dal governo iracheno, da organizzazioni non governative e da testimonianze dirette. Già ad ottobre l’organizzazione internazionale Human Rights Watch aveva diffuso un rapporto contenente diverse informazioni riguardo le violenze dell’ISIS nei confronti di giovani donne, molte delle quali con meno di 18 anni: nel rapporto si parlava di matrimoni forzati, violenze sessuali e schiavismo.