A scuola abbiamo studiato tutti la tratta degli schiavi dall’Africa alle Americhe, tra il XVI e il XIX secolo. Vi sono stati scritti saggi e romanzi, nonché girati film cinematografici e sceneggiati (il più recente è “The book of negroes”, che consiglio).
Pochi sanno, però, che nonostante le varie abolizioni di questa pratica abominevole, la schiavitù esiste ancora, sia in Italia (come altro chiamare la condizione dei lavoratori nelle campagne della Capitanata e della Terra di Lavoro, nei campi intorno a Rosarno e a Ragusa?), sia nella stessa Africa.
In particolare, in Mauritania la schiavitù è tra i mauritani stessi, ma di origini etniche diverse, come denuncia il movimento abolizionista “IRA Mauritanie“, che ha anche una sezione italiana.
Il leader del movimento, Biram dah Abeid (insignito nel 2013 del premio delle Nazioni Unite per i diritti umani), è stato arrestato l’11 novembre 2014 e condannato in primo grado a due anni di reclusione, come hanno riportato anche diverse testate italiane [qui e qui]. In queste settimane, sua moglie e sua figlia, Leila H’Maida e la piccola El Alia Abeid, sono in Europa per sensibilizzare i nostri Paesi su questa piaga; qualche giorno fa ne ha scritto Riccardo Noury sul blog di “Amnesty International Italia”: “Per la scarcerazione del leader antischiavista della Mauritania“.