Incontri in terra albanese

albania 2006Sono diversi giorni che penso a cosa scrivere in questo post, a come introdurlo, a quali punti toccare. Ho abbozzato alcune righe, ma non so andare avanti. Allora ho risfogliato certi libri, ma non s’è accesa nessuna lampadina. Ho cominciato, dunque, a ri-muovere il pensiero originario che mi aveva portato a programmare tre post sul mio viaggio in Albania: dei primi due sono soddisfatto, ma del terzo – questo – devo tornare a spiegarmene le ragioni.
Eccole: vorrei occuparmi dell’incontro, per cui vorrei provare a spiegare che cosa credo di aver compreso della popolazione albanese che mi sono trovato di fronte.
Bene, lo dico subito: non lo so fare. E soprattutto, ma non vuole essere un’autoassoluzione, non lo posso fare.
Come sostiene Maurice Bloch, la difficoltà dell’etnografo non è tanto quella di intendere l’Altro, quanto piuttosto quella di «far capire al suo pubblico ciò di cui sta parlando e nel mantenere l’attenzione e l’interesse del lettore». Nel caso specifico, so di non aver avuto alcun problema di “comunicazione” con i “nativi”, ma so anche di non avere materiale a sufficienza (né abbastanza faccia tosta o ingenuità) per poter scrivere, adesso, “come sono gli albanesi”. Lo sguardo deve posarsi su aspetti circoscritti, altrimenti si perde e diventa vago: posso descrivere gli occhi di chi dalla nave vede la propria terra all’orizzonte [*], posso interpretare il linguaggio di un paesaggio in trasformazione [*], ma – allo stato dell’arte – non so raccontare di più.
Cosa fare, dunque, di questo post? Lasciarlo sostanzialmente vuoto oppure riempirlo con qualche episodio e sperare che siano i lettori a individuare la trama, la complessità, la varietà, la ricchezza del popolo albanese cui io non so venire a capo?
Ok, proviamo. E allora riprendo qualche pagina della mia moleskine.

«Dalla nave sono uscite decine di auto con targhe del Nord Italia: MI, VR, TR, PG, PD… Erano piene di bagagli e con bambini piccoli: famiglie di emigrati che tornano per un mese al luogo d’origine. Girando sul ponte, inoltre, avevo visto tantissime persone dal look calcistico, soprattutto ragazzi con magliette dell’Italia campione del mondo. È l’immagine con cui si presenteranno a casa, dopo un anno di assenza» (domenica 30 luglio 2006)
«Sciarpe “Forza Milan” e “Forza Inter” sul cruscotto delle auto che passano. Qualche graffito “Forza Juve” sui muri per strada» (martedì 8 agosto)
«A volte mi sembra di essere in un paesino rurale del Sud Italia durante il mese d’agosto, quando i figli degli emigrati al Nord mischiano le loro diverse cadenze. Qui a Maminas è un continuo incrociarsi di accenti veneti, lombardi, abruzzesi… Mi trovo realmente all’estero?» (sabato 5 agosto)

«Stasera, durante la messa, un’anziana signora vestita di nero con un foulard bianco sul capo e l’agente di guardia alla nostra casa (entrambi musulmani) dall’esterno si sono affacciati al muretto di confine sul cortile dove avevamo preparato la celebrazione. Nella penombra erano meravigliosi, e li guardavo confabulare mentre con curiosità osservavano noi, una ventina di cattolici italiani seduti in circolo intorno ad un tavolo con candele. Sorridendo, ho immaginato un loro dialogo: “Secondo me sono fondamentalisti! Pregano due volte al giorno, a volte anche tre!”» (venerdì 4 agosto)

«Anche stamattina i bambini hanno fatto colazione con latte e biscotti. Uno, guardandosi intorno con circospezione, ne ha infilato manciate nelle tasche dei pantaloni. Non è fame, bensì furbizia infantile: l’avrei abbracciato» (giovedì 3 agosto)
«Quasi tutti i nostri piccoli ospiti arrivano da soli, giusto un paio di bimbi di 2 o 3 anni sono accompagnati dalle madri. E ciò è abbastanza incredibile agli occhi della cultura italiana odierna. Naturalmente i bambini di Maminas non sono amati di meno, ma sono affidati alla collettività e i fratelli maggiori vengono responsabilizzati sulla cura dei più piccoli» (venerdì 4 agosto)

«Oggi sono andato con Elvira [una volontaria come me] a casa di una famiglia vicina a chiedere delle verdure (i negozi del villaggio non ne vendono, tanto tutti coltivano almeno un orto). Mamma e figlia adolescente ci hanno accolto con molti onori e prima di entrare in casa abbiamo tolto le ciabatte e poi camminato sui tappeti. La signora s’è allontanata e noi, con la ragazza, ci siamo accomodati su un divano davanti al televisore che trasmetteva una telenovela argentina. Abbiamo sorseggiato dell’aranciata e dopo qualche minuto la madre è tornata con tre sacchetti di plastica colmi di pomodori, melanzane e tanto altro. Non voleva alcun compenso e ho dovuto insistere perché accettasse almeno 500 lek. All’uscita abbiamo trovato le nostre ciabatte ordinate e pronte per essere calzate: qualcuno le aveva sistemate con cura» (mercoledì 2 agosto)

«Afrodita, una ragazza locale, mi ha raccontato come si svolge un matrimonio musulmano a Maminas. Nessuno va in moschea, ma la cerimonia – che comunque è una formalità poco sentita – si svolge al Comune, anche una settimana prima dei festeggiamenti veri e propri. Questi si protraggono per tre giorni: 1] il primo gli sposi festeggiano separatamente nelle proprie case con i rispettivi amici. È una festa da ballo (danze tradizionali e pop internazionale), ma c’è anche un buffet. Si svolge per poche ore, di pomeriggio o di sera; 2] il secondo giorno la sposa coi suoi parenti si reca al ristorante, lì arriva lo sposo con i suoi genitori e comincia un pranzo con danze e musica suonata da “una grande orchestra”. Può cominciare alle 12, ma anche alle 20; 3] il terzo giorno lo sposo va a prendere la sposa a casa di lei e insieme, seguiti da un corteo d’auto clacsonanti (e preceduti da una Mercedes da cui spunta un cameraman che riprende ogni cosa), si recano al ristorante dove si festeggerà a parti invertite: con i parenti di lui e i genitori di lei. Gli orari sono gli stessi e anche il ristorante può essere il medesimo del giorno precedente. Quando vi è la possibilità (dopo un giorno di riposo nella loro nuova casa) gli sposi partono per la luna di miele: molti nel sud dell’Albania, altri in Turchia, qualcuno in Egitto. Si può arrivare ad avere anche 200 ospiti per giorno. Secondo Afrodita, inoltre, i matrimoni dei cattolici sono più contenuti e la festa si svolge in un’unica giornata in cui i parenti di entrambi si incontrano al ristorante. Lunedì la mia amica va al primo giorno di festa del matrimonio di una sua ex compagna di scuola. Andrò anch’io» (venerdì 4 agosto)

«Bilalas, Rrubiekë e Radë sono i villaggi che ho visitato oggi in un’ora di auto insieme a don Carmine, Fabio, Elvis (un ragazzo albanese che lavora in Italia) e un suo amico al volante (povera auto su quella strada sterrata e a quella velocità!). Si tratta di piccoli villaggi interni sempre più rurali e poveri (qui la densità di nuove abitazioni è molto più bassa che a Maminas). Dell’ultimo visitato Elvis ha detto: “Qui c’è un’enorme ignoranza, con questi puoi ragionare solo con le pistole”. Il momento più intenso ed esaltante, e che non dimenticherò mai, è stato quello della visita alla moschea di Rrubiekë, l’unica del comune di Maminas, costruita nel 1994. È un piccolo tempio in cima ad una collinetta che mi ha ricordato la cappella di San Michele a Villazzano. Intorno c’erano calcinacci e attrezzi da lavoro perché l’edificio è in restauro (l’intonaco è stato rinnovato da poco). Mi sono affacciato all’interno e ho visto 4 o 5 persone distese sui tappeti che chiacchieravano un po’ appisolati. Uno di loro, il più anziano, con barba bianca, camicia senza colletto abbottonata fino al collo e celleshe (il copricapo bianco) si è alzato e mi è venuto incontro sulla soglia, dove nel frattempo erano arrivati anche i miei compagni di escursione. Ci ha invitato ad entrare e dopo aver lasciato le scarpe fuori, ci siamo seduti in circolo a gambe incrociate sul grande tappeto centrale. Abbiamo chiacchierato grazie alla traduzione di Elvis, soprattutto di regole comportamentali e precetti da rispettare (il numero di preghiere quotidiane, il celibato e il matrimonio). Risate, sorrisi, affabilità: alcuni cattolici con un prete e alcuni musulmani con un imam si sono incontrati in un luogo deputato al culto del medesimo Dio, quello di Abramo, e si sono salutati con l’impegno di pregare insieme per la pace» (sabato 5 agosto)

«Nella mia quotidiana passeggiata dopo pranzo, oggi sono andato con Dannis [un adolescente che conosce bene l’italiano] al lago Karreç, al di là del piccolo cimitero del villaggio. Si tratta di un piccolo lago artificiale, forse destinato all’allevamento ittico, circondato da verdi colline tempestate di bunker. È un posto molto bello dove ho visto pascolare degli asini e delle mucche, e le uniche abitazioni incrociate dallo sguardo sono quelle lontane del centro di Maminas oltre le quali svetta il cartellone rosso della Vodafone. Mentre mi godevo il silenzio è arrivato un vecchio pastore. O forse era un poeta, perché con assoluta naturalezza ad un certo punto mi ha detto: “Questo lago è un modo di vivere”» (mercoledì 2 agosto)

PS: M. Bloch, “Un tentativo di incontro. Il concetto di «paesaggio» tra gli Zafimaniry del Madagascar”, in “Il sapere dell’antropologia” (a cura di U. Fabietti), Mursia, 1993, pp. 189-190.

PPS: Qui ci sono 70 fotografie scattate da alcuni dei miei compagni di viaggio. Un giorno forse pubblicherò anche le mie.

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Studio il rapporto tra gli esseri umani e i loro luoghi, soprattutto quando si tratta di luoghi "a rischio"
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4 risposte a Incontri in terra albanese

  1. ggugg ha detto:

    Da un punto di vista personale, un incontro molto importante è stato anche quello con i miei compagni di viaggio, dei quali conoscevo di vista solo qualcuno. Claudio, Danilo, Elvira, Fabio, Gianluca, Giovanna, Lisa, Maria Laura, Mario R., Mario S., Michele, Paolo, Silvio, Valentina e i don: Carmine, Daniele e Gianfranco.
    Grazie ad ognuno di voi.

  2. ggugg ha detto:

    Per quanto io prediliga le indagini qualitative a quelle quantitative, a Maminas ho cercato di capire qualcosa in più dei ragazzi che frequentano la Casa Caritas durante l’estate somministrando ai più grandicelli (di età compresa tra i 9 e i 14 anni, cioè tra l’ultimo anno delle elementari e il primo delle superiori) un breve questionario. Ho ricevuto 15 risposte, equamente distribuite tra maschi e femmine (rispettivamente 7 e 8).
    Ognuno degli intervistati ha 2 o 3 fratelli, per cui i nuclei familiari sono di 5 o 6 persone, considerando anche i genitori. Generalmente il padre è il solo a lavorare fuori casa (giusto in due casi la madre è impiegata o contadina) e i mestieri svolti sono in edilizia e trafori (7 casi), agricoltura (3), commercio (2), ferrovie (1) e guardiania (1).
    Dal punto di vista religioso si definiscono tutti musulmani (tranne uno, cattolico), ma nessuno frequenta la moschea.
    Dei 15 intervistati solo 4 non hanno nessuno stretto congiunto emigrato, mentre gli altri 11 hanno in 3 casi il fratello, in un caso la sorella e nei restanti 6 il padre. Precisamente in Italia (7 casi) o in Grecia (4 casi).
    Tutti hanno dichiarato di amare lo studio, soprattutto materie scientifico-tecniche come matematica, chimica, informatica e astronomia. In 4 casi, invece, la preferenza è andata a “letteratura”. Comunque sia, c’è poca attinenza tra queste risposte e quelle circa il lavoro che si vorrebbe fare da grandi: dall’avvocato alla ballerina, dal generale al poliziotto, dal calciatore alla parrucchiera e così via.
    Tutti vorrebbero andare all’estero,con motivazioni equamente divise tra “lavoro” (6 maschi su 7) e “studio” (6 femmine su 8). In un solo caso una ragazzina ha dichiarato di voler andare in Italia «per incontrare un’amica». Le destinazioni sognate sono le più varie (e qualcuno ne indica anche più di una): Italia (8 preferenze), America (4), Egitto e Olanda (2), Parigi, Spagna e Argentina (1).
    Ognuno degli interpellati guarda quotidianamente la tv e solo 4 non hanno l’antenna parabolica.
    Con 1000 euro a disposizione la maggior parte di loro comprerebbe mezzi di trasporto (auto, moto, motorino, bici e… asino), altri (3) computer e i restanti libri, pianoforte, cibo, vestiti.
    Tutti, infine, si dichiarano “molto soddisfatti” del Centro Caritas e sono ben contenti di frequentarlo, tanto che l’ultima domanda («Che cosa vorresti nel Centro che invece non trovi?») è risultata la più ostica cui rispondere. Dopo molti tentennamenti e molto pensare (in un solo caso non c’è stata alcuna indicazione), gli intervistati hanno suggerito nella maggior parte dei casi (6) un corso di computer (che tuttavia si svolge già in inverno) e delle attività fisiche come ping-pong, ginnastica, volley, tennis e ballo.

  3. ggugg ha detto:

    Qualche giorno fa (12 agosto 2006) «La Repubblica» ha pubblicato un articolo di Ismail Kadare, il più noto poeta e scrittore albanese, che ho trovato molto interessante. Eccolo:

    I BALCANI IN CERCA D’EUROPA

    Delle quattro principali penisole europee soltanto una, la Scandinavia, è a nord. Le altre tre – la penisola balcanica, gli Appennini e la penisola iberica – si trovano a sud. Si è sempre parlato molto di queste tre penisole che in alcune epoche sono state in concorrenza con i centri metropolitani del continente. Le ragioni di ciò sono da ricercare nel fatto che la prima penisola, i Balcani, fu la culla dell’antica cultura e civiltà greca. La seconda diede vita alla civiltà latina e la terza portò alla scoperta dell’America e poco dopo diede i natali a un cavaliere eccentrico di nome Din Chisciotte.
    Una parte assai significativa della storia del continente europeo si è svolta in queste tre penisole meridionali e la loro storia può essere riassunta in poche parole “storia di perdite e ritorni”. È naturale che chiunque voglia isolare un pezzo del continente metta gli occhi prima di tutto su queste penisole. Ecco quanto è accaduto nel caso dell’Europa: delle tre penisole principali, le due ai lati – i Balcani e la penisola iberica – per molto tempo sono venute a mancare. Tra le due, quella che ha avuto la storia più tragica è sicuramente la penisola balcanica. È occorso quasi un secolo perché la penisola si staccasse dal continente e la sua riunificazione richiederà altrettanto tempo. La sua separazione dal continente è stata quanto mai dolorosa e i suoi sforzi per farvi ritorno non sono meno drammatici.
    I popolo dei Balcani e del Caucaso raccontano una leggenda alla quale accenna anche Leo Tolstoy in una delle sue ultime opere, “Hadji Murat”. La leggenda parla di un’aquila catturata e rinchiusa in una strana voliera. Per anni l’aquila ricorda la propria famiglia, desiderando solo di farvi ritorno. Un giorno riesce a evadere dalla propria prigione e a ritornare a casa propria, ma invece di provare una grande gioia per la riunificazione, le accade qualcosa di terribile: per un anello che i suoi sequestratori le hanno legato a una zampa, l’aquila ai suoi simili appare diversa.
    Questo è quanto è accaduto ai popoli balcanici. Dopo la loro liberazione dalla schiavitù ottomana, essi hanno cercato uno alla volta di ricongiungersi alla madre Europa, ma indossano un anello, un segno della schiavitù ottomana. A causa di tale anello l’Europa ha guardato loro per lungo tempo con freddezza e diffidenza. Tuttavia, alla stregua dei personaggi dell’antica mitologia, questi popoli si sono adoperati per cercare di cancellare il marchio fatale. Grazie al ricordo dell’antichità, la Grecia è stata la prima ad essere accolta. Romania e Bulgaria stanno ancora aspettando, giorno dopo giorno, che le porte si spalanchino anche per loro.
    Nel frattempo, resta emarginata un’altra area, una specie di Balcani allo stato puro, una sorta di primordiali Balcani occidentali. Lì vivono alcuni dei popoli più instabili e testardi della penisola. Tra di loro vi sono gli albanesi e i serbi, due vecchi montoni che per ostilità e rabbia hanno incrociato spesso le corna tra di loro. È per causa loro che nell’ultimo anno del secondo millennio la Nato ha iniziato la sua prima eroica guerra. Punendo la Serbia per i suoi crimini contro gli albanesi, la Nato ha combattuto quella che è stata chiamata la prima “guerra morale” nella storia dell’umanità. Adesso i cinque Paesi dei Balcani occidentali – Serbia, Montenegro, Albania, Kosovo e Macedonia –, rinsaviti e inoffensivi, attendono il verdetto del continente madre. Tutti e cinque portano addosso quel famigerato anello, il marchio della schiavitù. Speriamo che da adesso in poi l’anello sia sempre meno un marchio di estraneità e diventi sempre più il ricordo di una disgrazia.

  4. ggugg ha detto:

    L’altro giorno a Kruje…

    Prima

    Durante

    Dopo

    Video

    Amo il popolo albanese.

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