C’è poco da fare, siamo noi a fissare l’asticella dell’alterità.
L’altro ieri [30 gennaio 2017] il fotografo Nuccio DiNuzzo ha scattato un’immagine all’aeroporto di Chicago, durante una manifestazione contro il “Muslim ban”: ritrae la bimba Meryem, con l’hijab e il cartello “Love, Love“, e il bimbo Adin, con la kippah e il cartello “Hate Has No Home Here“. Entrambi sono sulle spalle dei loro padri: lei su Fatih Yildirim e lui su Jordan Bendat-Appell.
La foto è stata pubblicata su twitter dal suo autore, il quale lavora per “Chicago Tribune”, che l’ha raccontata così. Poi l’immagine si è diffusa molto e “The Huffington Post” ne ha ricostruito i primi movimenti, come ad esempio la pubblicazione su “Reddit“.
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Una galleria fotografica delle proteste in giro per New York contro il provvedimento xenofobo del presidente Trump è di Fabrizio Rostelli: QUI.
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Sempre a proposito di proteste contro il “Muslim ban”, è da segnalare la forte e altamente simbolica azione compiuta dal MoMA di NY, che trasforma l’arte in strumento politico e il museo in luogo di resistenza: il 3 febbraio 2017 ha annunciato di aver tolto alcuni Picasso e Matisse per esporre opere di artisti originari dei sette Paesi messi al bando da Trump. Il “New York Times” ne ha scritto più diffusamente.
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Sulla prima settimana da presidente di Donald Trump segnalo il podcast di 25′ di Francesco Costa: QUI. Quali sono state le prime decisioni e quali saranno le sue conseguenze, nel breve e nel lungo termine? Aborto, muro, sanità, tortura, cambiamento climatico, trivelle, immigrazione… il neopresidente sembra partito in quarta e “Il Post” si è domandato se ci aspettano quattro anni così.
Soprattutto l’ordine esecutivo presidenziale che ha sospeso gli ingressi negli USA dei cittadini di sette Paesi a maggioranza islamica (Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen) ha scatenato delle ampie proteste negli aeroporti di tutto il Paese (non più nonluoghi, come è stato osservato sia QUI che QUI). In particolare, l’associazione dei tassisti newyorkesi ha deciso di proclamare uno sciopero dalle 18 alle 19 del 28 gennaio e numerose personalità hanno espresso la loro contrarietà alla decisione di Trump. Dopo poco, tuttavia, i difensori dei diritti hanno raggiunto già un risultato concreto: la sospensione di una delle disposizioni da parte di un giudice federale. L’azione più eclatante, comunque, si è avuta il 4 febbraio, quando un giudice federale di Seattle ha sospeso per incostituzionalità il provvedimento su tutto il territorio statunitense. A questo punto Trump ha fatto ricorso, ma l’ha perso.
Comunque andrà, ci sono già dei fatti irreversibili: come ammette Jonathan Kirshner su “Los Angeles Review of Books”, «we will always be the country that elected Donald Trump as President».
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Inoltre, la sera del 2 febbraio 100 individui dell’alt-right hanno manifestato a Berkeley con maschere, uniformi scure e con modalità paramilitari; allora gli studenti dell’università si sono opposti e, dopo alcune ore, il presidente Trump ha minacciato via twitter di togliere i fondi federali al campus. Se n’è parlato QUI.
Altri articoli da segnalare sulle contestazioni al provvedimento presidenziale sono:
- “Trump’s erratic first week was among the most alarming in history” (Washington Post);
- “Refugees, Immigrants, and Trump’s Executive Order: Six Anthropologists Speak Out” (“Savage Minds”).
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Infine, sebbene possa sembrare una lotta impari e destinata alla sconfitta, voglio segnalare questo post (con 3 foto) di Gregory Locke, che mostra come bastino poche persone e gesti semplici per cancellare l’odio:
Un passeggero della metropolitana gli ha detto: “Temo che questa sia l’America di Trump“. Ma lui ha risposto: “No signore, non lo è. Né stasera, né mai. Non finché un qualche testardo newyorkese avrà da dire qualcosa al riguardo“.
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Per concludere, segnalo l’amara copertina del “NewYorker” del 3 febbraio 2017:
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