Il linguaggio razzista a Sorrento
Sui socialmedia di Sorrento è una settimana che si discute animatamente di accoglienza ai migranti. Anzi, spesso non è stata una discussione, bensì un’esibizione di odio in seguito ad un “sondaggio” di un assessore sorrentino tra i propri contatti Fb, ovvero elettori: «La Prefettura di Napoli ci ha comunicato che al fine di distribuire equamente i migranti sul territorio, ciascun Comune della provincia di Napoli dovrà ospitarne 3 ogni 1000 abitanti. Cosa ne pensate?». Come si vede, non viene spiegato nulla circa i tempi, i luoghi, le motivazioni e le modalità, ma si afferma che ci sia un’imposizione da parte del Prefetto, mentre invece, come chiarisce questo articolo illustrativo del bando, è un invito rivolto ad operatori economici (associazioni, fondazioni, enti pubblici, del privato-sociale, enti ecclesiastici o associazioni onlus) a cui si può liberamente rispondere, al fine di offrire «il servizio di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale, assicurando loro anche i servizi connessi». Se le strutture presenti in tutti i comuni della Penisola Sorrentina decidessero di partecipare, non arriverebbero più di 200 persone, da ospitare al massimo fino al 31 dicembre 2017: «a Sorrento 38, a Vico Equense 50, a Massa 33, a Meta 19, a Piano 31, a Sant’Agnello 21».
Successivamente, lo stesso politico sorrentino ha poi guadagnato ulteriore spazio mediatico con un’intervista in cui sostiene le solite cose: «Non siamo razzisti. Tutt’altro». E se n’è continuato a parlare con un’intervista al vescovo, il quale ha detto: «I toni sprezzanti non possono mai essere costruttivi. Tutt’altro, rappresentano una potenziale fonte di scontro che rischia di sfociare nella violenza. [La penisola sorrentina] è una terra ospitale, di turismo, di accoglienza. Dal nostro canto abbiamo detto alle parrocchie di fare quanto più è possibile anche nell’attività di sensibilizzazione».
Fatto sta che in due giorni la notizia è arrivata sui media nazionali, che hanno sottolineato il razzismo scoperchiato dall’assessore: “Ansa“, “Corriere del Mezzogiorno“, “Repubblica“, “Il Mattino” (per quest’ultimo, si vedano anche le reazioni su Fb). Dal momento che certe persone evocano la supposta questione del “danno di appeal” per Sorrento ad ogni mendicante seduto sui gradini di una chiesa, ancora non è chiaro che idea abbiano su questo insozzamento dell’immagine cittadina, evidententemente accogliente solo a determinate condizioni. (Nella sua rubrica quotidiana “Caffè ristretto”, anche lo scrittore Maurizio de Giovanni esorta Sorrento a rivedere le sue posizioni).
(La questione, poi, ha assunto dei caratteri surreali quando un blog locale ha attaccato il segretario del circolo PD di Sorrento, opposizione consiliare, per una fotografia goliardica, per cui questi ha risposto e il blog ha controrisposto; ma il sospetto è che sia una strategia di distrazione in seguito al comunicato firmato dal segretario contro l’iniziativa dell’assessore).
Il razzismo poggia su una montagna di cattive parole
Parole ed espressioni xenofobe fanno male di per sé: l’odio, per definizione, ferisce, specie, come in questo caso, quando è un odio indirizzato verso i deboli e i subalterni; ed è, dunque, un odio particolarmente vile.
La sofferenza causata da questo linguaggio, inoltre, è dovuta a due ulteriori elementi. Innanzitutto, lo hate-speech è un segno evidente di ignoranza e banalizzazione su un argomento complesso come il fenomeno migratorio contemporaneo (un tema, anzi, epocale che, verosimilmente, gli odiatori non sanno gestire già a livello concettuale), il quale ha implicazioni su tanti fronti, compreso quello concreto: accogliere vuol dire mettere in piedi una macchina organizzativa notevole, dove alcuni possono anche lucrare in maniera fraudolenta, come purtroppo abbiamo visto più volte, e non è detto che ci siano sempre fondi sufficienti o spazi adeguati o persone di buona volontà e così via. In secondo luogo, è un tema che svela gli esseri umani, li mette a nudo, è uno di quegli argomenti che segnano ancora, profondamente, la differenza politica (non so se tra destra e sinistra, ma sicuramente tra decenza e indecenza), per cui mostra l’identità nascosta dei nostri vicini di casa, dei nostri interlocutori su un socialmedia, degli amministratori locali e, più in generale, degli opinion leader (autorevoli o autoproclamati). («Colpisce l’afasia del mondo della cultura di fronte alla tragedia dei migranti. Dove sono professori, magistrati, scrittori, attori?», si è domandato Castagnetti su twitter).
Tra i tanti che, nell’ultima settimana, hanno scritto sui socialmedia di questo tema, mi ha colpito un commento al post di una mia amica: «Si dovrebbe chiarire, però, cosa si intende per razzismo». Quando si è dinnanzi al razzismo è inevitabile che si faccia riferimento all’ignoranza, come dimostra essere anche la stringata affermazione citata poc’anzi. Il razzismo e tutte le sue varianti – dalla xenofobia all’antisemitismo, dall’islamofobia all’omofobia – è un tema discusso e analizzato in migliaia di volumi, per cui tutti sono in grado, se lo volessero, di capire cos’è questo fenomeno, basterebbe un minimo di conoscenza o di curiosità, o di dimestichezza col vocabolario. Purtroppo, però, oggi tutto ciò è tacciato di chiacchiericcio, di superfluo blaterare, di “casta intellettuale” e, allora, è passata l’idea che il razzismo sia un’opinione come le altre, sia una forma di “libertà di espressione”. Invece, evidentemente, è il caso di specificare che il razzismo non è banalmente ignoranza, o mancanza di informazione o paura, bensì, come ha argomentato Iside Gjergji,
«è prima di tutto un rapporto materiale di dominazione che produce e riproduce rapporti sociali disegualitari, ovvero rapporti sociali di oppressione, vestendoli però di naturalezza. […] Il razzismo moderno di tipo organico (ivi compreso quello postmoderno e ipermoderno) nasce con il colonialismo, ovvero sorge nel Cinquecento-Seicento, si sviluppa nel Settecento e raggiunge il suo apice e completamento nell’Ottocento-Novecento, parallelamente alla nascita e allo sviluppo della società moderna. […] Ne consegue che il razzismo è un fenomeno sociale storicamente determinato e non un elemento naturale e fisiologico partorito dalla mente di singoli individui. […] Il razzismo è dunque un complesso ideologico che naturalizza rapporti inferiorizzanti e di oppressione, in termini di razza, età, genere, popoli, stati e nazioni, le cui cause non sono da cercare nel piano individuale (cioè nel processo intra-psichico dei soggetti singoli), ma in quello collettivo».
(Su questo argomento ho scritto moltissime volte sul “Taccuino”: ad esempio, facendo una estrema sintesi, nel 2008, nel 2013 – a luglio, ad agosto e a ottobre – e nel 2016).
Una questione europea
La nostra preziosa Europa non è all’altezza della cattedra su cui si è eretta: se siamo il continente che ha saputo stabilire una pace ultradecennale dopo secoli di guerre, costruire la democrazia dopo gli spaventosi abissi dei totalitarismi, elaborare la dignità e la libertà dei diritti umani, non è accettabile che vi siano deroghe e sospensioni a tali princìpi. Chi è in difficoltà va aiutato, non c’è alcuna argomentazione alternativa: va fatto e basta. Se, poi, questo riguarda dei minori, l’imperativo è ancora più forte (è quanto ripete spesso Cédric Herrou, il contadino sotto processo in Francia per aver aiutato i migranti che attraversano il confine lungo la valle della Roya). Pensiamo di avere il diritto di chiudere le frontiere, ma ignoriamo – colpevolmente – che, prima, abbiamo un dovere superiore: prenderci cura di chi è in pericolo e dei minori di 18 anni.
Ritenete che «Spalancare le frontiere» e «Far entrare tutti» sia un rischio? Ebbene, non stiamo parlando di questo: stiamo parlando, piuttosto, di aiuti, di solidarietà, di emergenza (emergenza che, con questo andazzo, evidentemente non passerà mai, perché ormai si trascina da anni). C’è gente che muore di viaggio e di frontiera, c’è gente che precipita dai viadotti per uno spostamento d’aria in autostrada, c’è gente travolta dal treno in galleria, c’è gente che, in questo istante, muore annegata o per ipotermia. Cédric e gli altri solidali della valle della Roya denunciano questa illegale indifferenza della République française, nonché le inefficaci belle parole dell’Unione Europea.
Ora, a Napoli (e a Sorrento), la situazione non è dissimile: ci troviamo dinnanzi a persone bisognose, arrivate stremate sulle coste italiane: aiutarle non è un’opzione, ma un dovere sancito dai nostri stessi valori con cui ci dipingiamo dinnanzi al pianeta intero. La Prefettura ha identificato tutti, sappiamo chi sono tali individui, ovvero persone che hanno fatto richiesta di asilo politico. Ebbene, mentre si valutano tutte le pratiche, costoro dove vanno? dove mangiano e dove dormono? chi se ne occupa? come e con quali mezzi? qualcuno in provincia è disponibile? Per questa ragione è stato emesso un bando, che definisce dei criteri di selezione, degli standard minimi di accesso e dei fondi disponibili. Ergo, dov’è il problema? Ripeto: dove?
Tra verità e realtà
Il problema è nel cedere alla banalizzazione, nel rifiutare l’evidenza dei fatti, nell’ignorare coscientemente i dati, nell’essere indifferenti a ciò che sconfessa le certezze preconcette. Come si fa a dialogare con chi bolla tutto con «Non sono razzista, ma», «Allora portateli a casa tua», «No invasione» o «Aiutiamoli a casa loro»? Si può dialogare (darsi qualcosa reciprocamente, scambiare sapere, punti di vista, possibili soluzioni) con chi non ne ha voglia?
Una questione importante che sta emergendo negli ultimi tempi è quella della post-verità, che tuttavia, per come è affrontata in queste settimane, sembra essere ridotta ad un dibattito sui cialtroni (lo argomenta bene Luca Sofri). Piuttosto, come spiega Barbara Collevecchio,
«Parlare di verità e post verità da la cifra della somma ignoranza di questi tempi. La verità è una costruzione idiosincratica del reale, esistono tante verità. L’essere umano evoluto deve saper fare i conti con il principio di realtà. Cosa ben diversa».
Proviamo a declinare questa interpretazione su un paio di fatti di cronaca. L’altro ieri ho scoperto una notizia di un mese fa, secondo la quale a Fano c’è stato il “no preventivo” a 32 stranieri sotto i 18 anni:«dicono che ospitare bambini cacciati dalle loro terre può minacciare il business turistico e la sicurezza pubblica». Ieri, invece, è giunta la notizia dell’opposizione di Borello, una frazione di Cesena, contro la possibile accoglienza di senzatetto (non si sa se italiani o stranieri), dunque spingendo la questione su un piano non solo razzista ma anche classista.
Dei “barricaderos italiani” ho fatto un elenco alcuni mesi fa e, ancora una volta, confermo quanto scritto allora: l’Italia si dice accogliente e solidale, ma nei fatti non lo è e non vuole esserlo; queste sono forme di razzismo che solo la mistificazione della realtà trasforma in proteste o in opinioni; non esistono popoli razzisti, ma ideologi e ideologie del razzismo: le contrapposizioni che sorgono qua e là in tutto il Paese sono sempre alimentate da qualcuno (e il caso sorrentino è emblematico di come la scintilla possa essere innaffiata di benzina in maniera sibillina).
Qualcuno sostiene che sia una questione economica, a sua volta alimentata dalla crisi, dall’impoverimento, dai tagli al welfare… Beh, allora è il caso di fare due conti. Eccoli: il costo dell’accoglienza, in Italia, è di circa 3 miliardi di euro su base annua, in parte coperti dal fondo europeo per l’immigrazione (mentre l’evasione fiscale costa all’Italia circa 122 miliardi di euro). Come ha osservato Emiliano Rubbi,
«gli hanno fatto credere che stanno male per colpa degli immigrati e loro ci credono, si indignano, sbavano e urlano “uno di meno” quando ne muore uno in mare o per colpa del freddo. Gli hanno dato un nemico da odiare e adesso loro odiano».
In Italia e in Francia, cioè in Europa (in Canada pare che la situazione sia radicalmente diversa), c’è una vera e propria epidemia velenosa che sta frantumando le nostre società, un declino inesorabile e terribile a cui nessuno sta dando risposte efficaci: uscire dall’UE, chiudere le frontiere, dare noccioline ai migranti – come ha volgarmente detto uno dei politici più intolleranti, sempre libero di insultare, senza alcuna sanzione o freno – pensate serva a qualcosa? Ecco, siamo ancora là: alla differenza tra verità e realtà.
Intanto, a proposito di “casa loro”, l’altro ieri sera Diego Bianchi ha raccontato su “Gazebo” com’è “casa loro”, in particolare il Ciad. Dopo aver visto questo servizio, dubito che ci possa essere ancora gente che dica «Prima gli italiani» in qualche gruppo-Fb identitario, di cui si bea di appartenere senza alcun merito. Tuttavia, so che la realtà, appunto, è diversa dalla verità che vorrei e, nonostante le evidenze, ci sarà ancora chi vomiterà odio e frustrazione su chi è incolpevole e necessita solo della nostra mano tesa.
Concludendo, segnalo una toccante lettera aperta di Cédric Herrou, in cui il solidale francese spiega le motivazioni politiche, etiche e antropologiche del suo “reato di solidarietà”. Tra l’altro dice:
«Voglio precisare la mia provenienza: sono nato a Nizza, in un quartiere dove i miei compagni di classe erano neri, grigi, gialli, bianchi. Sono stato educato nell’indifferenza razziale ed è questo che mi si rimprovera oggi, di non fare la differenza, di non chiedere i documenti a un ragazzino prima di tendergli la mano».
(La traduzione in italiano è stata fatta da Manuela Antonucci per “WOTS – Walking on the South”).
Per ironia della sorte, la sera in cui è scoppiata la polemica sorrentina sull’accoglienza dei richiedenti asilo, l’11 gennaio 2017, il “fumettone” di Makkox, sempre nella trasmissione televisiva “Gazebo”, ha avuto come colonna sonora la celebre canzone “Torna a Surriento”:
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Nella serata del 17 gennaio 2017, l’account Fb di “Courrier international” ha pubblicato questo disegno di Tjeerd:
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AGGIORNAMENTO del 29 marzo 2017:
Salvatore Dare ha riportato su “Metropolis” la seguente notizia: “La Cattedrale di Sorrento accoglie migranti: via libera dalla Curia, partono lavori per adeguare i locali“. L’articolo completo è in versine cartacea, mentre questa è l’anteprima online:
«Dobbiamo aprire le porte ai migranti» sbottò a gennaio il vescovo Francesco Alfano quando il Comune di Sorrento reagì a muso duro al diktat per l’accoglienza della Prefettura di Napoli. Ora a quel monito seguono i fatti. Perché la Chiesa si muove sul serio ed è pronta a ospitare i rifugiati già nelle prossime settimane. Lo conferma anche il consiglio pastorale diocesano di Sorrento che di recente ha deciso di mettere a disposizione alcuni locali e spazi situati all’interno del complesso della Cattedrale. Tant’è che nei prossimi giorni partiranno anche dei lavori di adeguamento così da rendere parte dell’immobile in linea con gli standard richiesti dalla Prefettura.
Altri link da conservare, per svariate questioni: Massimo Russo, Salvatore Caccaviello. Quest’ultimo ha scritto anche questa roba.
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