Gaël Faye [website] è un artista poliedrico, con una notorietà in Francia piuttosto vasta da almeno tre anni, quando ha pubblicato il suo primo disco, “Pili Pili sur un croissant au beurre“. In quell’album è presente “Petit Pays“, una canzone stupenda che potete ascoltare qui sotto.
Faye, di padre francese e madre rwandese, è cresciuto a Bujumbura, in Burundi, che ha dovuto lasciare per trasferirsi in Francia a 12 anni, quando la violenza interetnica tra hutu e tutsi ha causato massacri indicibili nel 1994, sia in Rwanda che, appunto, nel Paese in cui viveva.
Un mese fa è uscito il suo primo romanzo, “Petit Pays“, per l’editore Grasset, che racconta la storia di un bambino, Gaby (Gabriel), che si trova a vivere ai margini – ma in realtà al centro – di un genocidio e di una guerra civile. E’ un libro molto bello e delicato, con pagine commoventi, altre dolorose, altre ancora allegre. La storia è solo parzialmente ispirata alla biografia dell’autore: il percorso narrativo è una presa di coscienza dell’orrore, della violenza, della strumentalizzazione politica, dell’uso segregante dell’appartenenza. Gaby non sa cosa significhi il termine “etnia”, così come non ha idea di cosa vogliano dire le parole “hutu” e “tutsi”: lui è semplicemente un bambino, come lo sono i suoi quattro amici – la banda “Kinanira Boyz”, come si fanno chiamare – con cui va a cogliere manghi nei giardini altrui o a tuffarsi nelle acque del lago Tanganyika. La sua vicenda personale, poi, lo porterà a scoprire i libri custoditi nella casa di una vecchia signora greca, e la lettura diverrà una sorta di strumento di liberazione e salvezza.
Il libro ha già vinto il “Prix du roman FNAC“, è nella selezione del prestigioso “Prix Goncourt” ed ha un alto grado di apprezzamento su Babelio. Il romanziere ed accademico franco-congolese Alain Mabanckou lo ha definito uno dei libri più belli letti quest’anno, con una particolarità unica sia per il pubblico francese ed europeo, perché è un libro che parla di Africa dalla prospettiva di un africano, sia per i lettori africani, perché la storia ha al centro un meticcio, che – dice Mabanckou – nel continente è raramente, e con difficoltà, considerato come un “vero africano”.
Faye, che da un anno si è trasferito in Rwanda, in queste settimane è invitato continuamente alla televisione francese, come ad esempio l’altro ieri sera a “On n’est pas couché“.
Ho letto il romanzo tutto d’un fiato e mi auguro che venga presto tradotto in italiano: per (ri)scoprire una delle pagine più spaventose del Novecento, su cui c’è ancora tantissimo buio, e per farlo con gli occhi di un bambino, che è sempre un escamotage narrativo particolarmente efficace.
Il “Piccolo Paese” del romanzo è la regione dei Grandi Laghi, al di là dei confini amministrativi o etnici; è il piccolo-grande mondo di Gaby che Gaël aveva già splendidamente delineato nella sua canzone: “Petit bout d’Afrique perché en altitude / Je doute de mes amours, tu resteras ma certitude” [testo].
– – –
AGGIORNAMENTO del 2 febbraio 2017:
L’8 febbraio uscirà per Bombiani la versione italiana del romanzo: “Piccolo Paese“. Lo ha annunciato lo stesso Gael Faye su Fb:
Pingback: La letteratura multietnica francese | il Taccuino dell'Altrove
Pingback: US elections 2016: un contributo antropologico | il Taccuino dell'Altrove
Pingback: US elections 2016: un contributo | il Taccuino dell'Altrove
Pingback: Lezione 01/2017 | antropologia urbana blog
Pingback: Gaël Faye racconta Ketty Nivyabandi su Libération | il Taccuino dell'Altrove