L’educazione alla (nuova) cittadinanza

15 settembre 2016

Mia figlia ha quasi tre anni e va all’asilo da due settimane; oggi pomeriggio si è tenuto il primo incontro insegnanti-genitori. E’ la prima volta per me: anche io, come lei, sto imparando dinamiche nuove e metodi ignoti, per cui mi sono recato a scuola con curiosità e un po’ di trepidazione. Accogliendoci in un’aula dalle sedie microscopiche, la maestra si è scusata per le procedure d’ingresso, imposte dal programma “Vigipirate” (ovvero il sistema d’allerta nazionale in vigore dagli attentati contro Charlie Hebdo e l’Hyper Cacher di Parigi), che, tra l’altro, non permetterà agli insegnanti di portare le classi nei luoghi pubblici come musei e biblioteche, per cui – ha annunciato – quest’anno si faranno poche uscite, almeno «fino a nuovo ordine». Ho scoperto, tra l’altro, che ieri tutti i bimbi hanno fatto un’esercitazione antincendio e che entro la fine di ottobre faranno altre simulazioni: contro il terremoto, l’inondazione e la nube tossica. Tutto ciò, ha concluso la maestra, fa parte della missione della scuola, ovvero della «éducation à la citoyenneté». Mi sono domandato cosa sia questa «cittadinanza»; sicuramente una appartenenza, quindi una serie di diritti e doveri, poi però ho sentito le voci dei bambini nel cortile e mi sono detto che forse è più semplicemente la vita collettiva, il vivere con l’altro, insieme e in solidarietà, al di là delle differenze. Almeno spero.

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Studio il rapporto tra gli esseri umani e i loro luoghi, soprattutto quando si tratta di luoghi "a rischio"
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