Le fotografie di persone in sofferenza sono sempre voyeuristiche

11 settembre 2016

Più volte mi è capitato di dire che la pubblicazione di fotografie di persone in sofferenza non mi trova d’accordo, soprattutto se avviene su un media come questo, che abbatte il vaglio critico di una redazione o che fa tendere ciascuno di noi ad un abbassamento della cautela. Si dice che certe immagini valgano più di mille parole, ed è vero, ma proprio perché possono valere troppe parole, bisogna scegliere quelle giuste per presentarne il contenuto, per problematizzarle, per darne un’interpretazione il più rispettosa ed esaustiva possibile.
Ieri sui socialmedia e sul web è circolata enormemente la fotografia di una coppia statunitense di eroinomani in overdose, riversi nella loro auto con un bambino di 4 anni, disorientato e solo, seduto sul sediolino posteriore.
Quell’immagine fa malissimo e poco vale aver pixelato i volti, perché non diventa “pedagogica”, ma resta voyeuristica. In ogni caso, è stata diffusa e, come dicevo, è un pugno nello stomaco. Lo è per quel bambino, innanzitutto, di cui immaginiamo o intuiamo le difficoltà, lo sbandamento, l’abbandono, ma lo è anche per quei genitori: fragili, (auto)distruttivi, irresponsabili, ma appunto per questo bisognosi anch’essi di cura, forse di affetto.
Ho letto commenti pieni di odio, specie sul “CorSera” (ma anche altrove), e devo constatare che pure in questa occasione molti non sono stati capaci di aspettare un momento, né di sentire il dolore, che non significa giustificare, bensì cominciare a capire e, eventualmente, ad aiutare

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Studio il rapporto tra gli esseri umani e i loro luoghi, soprattutto quando si tratta di luoghi "a rischio"
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