Violenza verbale, violenza fisica

7 luglio 2016

Lo stesso insulto: orango, scimmia. Calderoli, vicepresidente del Senato, tre anni fa, contro Cécile Kyenge; ieri un “ultrà” contro una coppia di richiedenti asilo, cattolici, che fuggivano dalla furia sterminatrice di Boko Haram in Nigeria. Solo che ieri Emmanuel Chidi Namdi è morto, brutalmente ucciso per difendere la sua compagna Chinyery.
Chi è l’assassino? A leggere tutti i giornali odierni, è un “ultrà” senza nome. (Da una conversazione tra i commenti della bacheca fb di un politico è spuntato un nome). Stamani il citatissimo Massimo Gramellini lo definisceun razzista di paese“, una riduzione che ricorda quella del pluriomicida ai mercati fiorentini di piazza Dalmazia e di San Lorenzo, cinque anni fa, allora fatto passare per uno squilibrato, quando invece era imbevuto di ideologia razzista e fascista.
“Ultrà” è l’unica informazione che i giornali nazionali danno dell’assassino, la sola parola fornita per descrivere un’intera personalità. Nessun cenno al suo lavoro, alla sua formazione, al suo credo, alle sue convinzioni politiche. Bisogna cercare con caparbietà nei meandri del web per venire a sapere che “A Fermo due ultras di simpatie neonaziste hanno ucciso un nigeriano a botte e ferito la compagna, per puro razzismo“.
“Ultrà” impone un preciso ordine del discorso, che confina il caso agli ambienti più marginali del calcio di provincia, quasi ad una faccenda di periferia. I media italiani, così frequentemente disposti a dare indicazioni etniche nei titoli delle notizie di cronaca nera (addirittura l’altro giorno uno scriveva “Bestie islamiche” dopo la strage di Dacca, in qualche modo riprendendo il titolo di un giornale simile che dopo l’eccidio di Parigi nel novembre2015 titolò “Bastardi islamici”), stavolta nicchiano, sebbene i responsabili di questa violenza siano già noti alle forze dell’ordine. Allora mi domando quale sia il ruolo dei media: indagare e raccontare o riportare veline? contrastare o promuovere questo clima di odio? (L’atmosfera è pesta, come si può verificare leggendo i commenti su fb alla notizia; ad esempio questi riportati da un amico).
Ho cominciato questo breve intervento ricordando il caso subìto dall’on. Kyenge perché è stato allora che, nel discorso pubblico per eccellenza, quello politico, in Italia è tornata con forza la “razza”; è stato allora che si è persa l’occasione di arrestare la barbarie, di stigmatizzarla con decisione, perché invece la si è bollata come “boutade”, trascurandola con un voto parlamentare segreto che ha salvato Calderoli. (In Francia la medesima schifezza contro l’ex-ministra Taubira è stata affrontata in modo diverso).
Stamani il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha twittato che il Governo sarà a Fermo. Bene, ma che sia cosciente del ritardo accumulato e che oggi la presenza, per quanto importante, è comunque solo un atto simbolico. E’ necessario impegnarsi di più, con maggior decisione. Un esempio? Allargare lo ius-soli.

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La vignetta è di Mauro Biani.

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Su questo stesso specifico aspetto della questione, segnalo gli interventi di due amici: Mimmo Apota Calderaro e Natale De Gregorio.
Inoltre, sebbene su un caso diverso, lo hate-speech è lo stesso di quello denunciato da Clementina Sasso.

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ALCUNI INTERVENTI SIGNIFICATIVI:

“I cattivi maestri del fascista e razzista che ha ucciso Emmanuel Chidi Namdi e picchiato sua moglie Chinyery siedono in Senato: sono quelli che dieci mesi fa hanno negato l’autorizzazione a procedere contro Calderoli quando diede dell’orango a Cecile Kyenge. Era critica politica, affermarono, mica razzismo, e lo dissero senza distinzione di partito, compresi 81 senatori del PD e 3 di Sel che oggi si dichiareranno certamente sconvolti e turbati davanti a tutti i microfoni dei media. Questo succede a pensare che le parole non abbiano conseguenze” (Michela Murgia).

“#Odio, #razzismo, #xenofobia. Sempre con questa paura degli altri. Sempre con questo disprezzo delle differenze. Chi non avrebbe reagito sentendo definire “scimmia” la propria compagna? Chi non l’avrebbe difesa? #Emmanuel Chidi Namdi l’ha fatto ed è stato massacrato di botte. Colpevole solo di essere nigeriano, di essere fuggito dal proprio paese dove Boko Haram aveva ucciso la propria figlia, e di sognare una casa e l’amore. Colpevole di essere nero. Colpevole di non essere italiano. Colpevole di sognare il futuro. Colpevole di non aver ingoiato l’odio e di aver reagito per difendere l’amore, la dignità, l’umanità. Tutto quello che i disseminatori di odio sviliscono e calpestano ogni volta che insultano, picchiano o uccidono qualcuno perché ‘”diverso” . Pensando cosa? Di essere superiori? Di uscirne impuniti? Di averne il diritto? “Non possiamo accoglierli tutti”, “non sono razzista, ma”, “e agli italiani chi ci pensa?”. Frasi sempre più diffuse. Pronunciate a mezza voce anche da chi si dichiara credente e la domenica, magari, va a messa e si cosparge di cenere. Ma poi non sopporta quei colori, quegli odori, quegli accenti… “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?” scrive san Matteo (Mt 25, 44-45). “Ma Egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me”.” (Michela Marzano)

“Suscita sgomento e indignazione la notizia del richiedente asilo nigeriano pestato a morte a Fermo.
Un uomo che era venuto via dal suo Paese per scampare alla ferocia dei terroristi di Boko Haram ha perso la vita qui da noi, in Italia, sotto i colpi dell’odio razzista e xenofobo.
Mi addolora ancor di più che questo fatto orribile sia avvenuto nella mia regione, che è sempre stata terra di solidarietà ed accoglienza.
Abbraccio nel modo più affettuoso la giovane compagna dell’uomo ucciso e mi auguro che dal territorio, già investito nei mesi scorsi da episodi inquietanti come gli attentati alle chiese della zona, arrivi la risposta più netta capace di isolare ed espellere i violenti.” (Laura Boldrini)

(Con stupore apprendo che ci sono state polemiche anche su queste parole di Laura Boldrini. Ne ha scritto Loredana Lipperini).

“Vedova, a 24 anni, dopo aver perso un figlio per mano di Boko Haram e un altro in mare. Se questa è una donna. Se questi siamo noi” (Radio3 Rai)

“La compagna di Emmanuel ha dato il consenso per il trapianto degli organi, che potranno andare a chiunque, di qualsiasi colore, etnia o credo politico.
E’ la scelta dell’umano contro il disumano. E se questa storia ha una lezione, questa lezione è tutta qui.” (Saverio Tommasi)

“Un cerchio di candele nel prato di fronte al Seminario e intorno tante persone, circa 500: un anello dentro l’altro che si allarga man mano che la gente arriva, in silenzio: famiglie, scout, tanti ragazzi e bambini, etnie diverse e nazionalità che si mischiano, le istituzioni, i parroci, i volontari. Si stringono intorno a Chimiary arrivata qualche minuto prima che la cerimonia inizi dall’ospedale. Vestita di bianco, bianco anche il foulard che le raccoglie i capelli, sorretta da due giovani suore, Rita e Filomena, che non l’hanno lasciata un attimo da quando tutto è cambiato, nel pomeriggio di martedì. Seduta, tra le lacrime che non possono smettere di cadere, ascolta le parole che le vengono rivolte, quelle istituzionali e quelle della gente comune, e poi chiede anche lei di intervenire, di poter cantare per Emmanuel: un voce profonda, stanchissima e rotta dal pianto che chiede perché e dice che non vuole vivere se non può più avere il suo uomo con sé. «Dio dove sei? Perché mi hai lasciato in questo mondo cattivo senza Emmanuel? Vivere da soli è uccidere la mia vita». Questo, dice, è il senso della canzone”. (“Redattore Sociale“, via Arianna Ciccone).

“Per stuzzicare lo sdegno ci concentriamo sul fatto che Emmanuel era fuggito da Boko Haram mentre i terroristi assalivano una chiesa, che lì aveva perso genitori e figlioletta, che in Libia lui e la compagna avevano subito soprusi di ogni genere prima di attraversare il Mediterraneo e arrivare a Palermo. Perché dire che nel 2016, in Italia, c’è ancora chi muore per il colore della pelle non è abbastanza per farci propriamente indignare.” (Joshua Evangelista).

“Il bisogno di alleggerire e allontanare da sé il male: l’assassino di Fermo diventa “un ultra”, un fascista, un razzista, con conseguenti processi mediatici alle categorie coinvolte. Ma quello è uno di noi. È un essere umano, uno che è intervenuto in proprio. Altrimenti perché si direbbe che la responsabilità penale è personale? Un assassino che magari dirà pure che non si aspettava che la vittima morisse. Non se lo aspettano mai” (Vittorio Zambardino).

“[…] Oggi Salvini ha (neanche troppo) implicitamente attribuito la morte Emmanuel Chidi Nambi ai migranti. È colpa loro, in sostanza, dice. Se vengono qui, ci esasperano – a noi italiani – quindi può scapparci il morto.
Questo non è un interlocutore. Questo non è legittimabile […]” (Alessandro Gilioli).

Lo hate-speech è un fenomeno in forte crescita sui social-media. Chiunque insulti, minacci e diffonda odio risponde personalmente, com’è ovvio, ma è responsabilità (morale, non so se anche legale) dei gestori dei media arginare la melma che, puntualmente, si riversa tra i commenti delle notizie più sensibili. Ci sono politici e webjournal che alimentano coscientemente questa barbarie; li conosciamo tutti. Per fortuna, però, ci sono delle eccezioni, come il “Messaggero Veneto”, la cui redazione oggi ha spiegato qual è la sua visione del giornalismo, in base alla quale ha deciso di cancellare i commenti di odio.

“ll dolore di perdere una figlia nell’attentato in una chiesa in Nigeria, le lacrime versate per un aborto dovuto alle percosse dei trafficanti di esseri umani, un lungo viaggio verso una nuova speranza di vita, l’Italia. Tutto questo non ha fermato Emmanuel e Chinyery, sorretti dal grande amore che provavano l’uno per l’altro. Ma li ha fermati l’odio. Ora rimane solo Chinyery, derubata di tutto ciò che le era rimasto, l’amore. Non è stata follia, ma una rabbia orientata, nutrita e corteggiata a muovere la mano dell’assassino di #Emmanuel. Sono state parole d’odio razziale a rendere possibile quell’azione. Parole d’odio che ogni giorno rigurgitano da più parti, anche su questa mia pagina Facebook, incuranti delle conseguenze. Parole d’odio razziale pronunciate da leader politici, quelli sì ben consapevoli delle conseguenze: alimentare la rabbia, infischiandosene di dove questa rabbia possa portare. Noi lo sappiamo. Per questo dobbiamo difenderci dall’odio. Per questo le parole d’odio razziale non posso mai essere derubricate a critica politica o satira. Perché le parole sono importanti.” (Cécile Kyenge Kashetu).

“[…] Dicono che è stato un ultrà. Che parola strana ultrà. Non ha un reale significato. Ti rimanda allo stadio, alle curve, al tifo. Però nasconde a volte anche altro. Nasconde il razzismo, il fascismo, un certo gusto di menar le mani. Ma dire ultrà, ripeterlo in tutti i telegiornali, è anche un modo di non prendersi le responsabilità di un atto efferato. È lui, solo lui, l’uomo con la spranga, il colpevole, sembrano giustificarsi tutti. Lui, un balordo, uno strano, un emarginato in fondo. Succede, sembra dire la vulgata pubblica, non è colpa nostra se ci sono certe bestie in giro. E ci dimentichiamo che una bestia non nasce per caso. Che anche un omicidio a sfondo razziale è terrorismo […]” (Igiaba Scego).

“Riepilogando:
– se ti definisci “salvatore del cristianesimo” e uccidi 77 persone, di cui 69 giovani del partito laburista norvegese, nelle prime notizie sul tuo conto si parlerà di “follia omicida del presunto autore della strage” e Antonio Socci si sentirà in dovere di spiegare che “Non è un cristiano. La sua sola fede è la pazzia”, sullo stesso giornale che, dopo quattro anni, titolerà “Bastardi islamici” per dare notizia degli attentati di Parigi;
– se collabori con Casapound e un giorno ammazzi con la tua .357 Magnum due persone e ne ferisci in maniera permanente (schiena e gola) un’altra, tutte e tre senegalesi, prima di ucciderti, sei solo uno psicolabile;
– se sei un ghanese, ti vengono diagnosticati “disturbi della sensopercezione” e prescritti medicinali antideliranti, tenti due volte il suicidio e uccidi tre persone a colpi di piccone, diventi l’emblema dell’africano che ammazza, tanto che Di Stefano, sì, il fascista, si sente in dovere di tirare ancora in ballo il tuo caso, per minimizzare quanto avvenuto a Fermo;
– se sei un ragazzo di Tor Pignattara e si presume tu abbia ammazzato un pakistano di botte, mentre tuo padre assisteva e anzi, dalle indagini emerge che addirittura ti avrebbe incitato, prima si dirà che il pakistano era ubriaco, circostanza esclusa dall’autopsia, poi che ti aveva provocato, forse ti ha insultato la madre, forse ti ha sputato in faccia; comunque tu dirai e tutti scriveranno che gli hai dato solo un pugno e invece, sempre dall’autopsia, si leggerà di una morte per “reiterato traumatismo contusivo del capo con frattura temporale destra ed emorragia sub aracnoidea diffusa”. In ogni caso, i tuoi amici ti dedicheranno striscioni di sostegno, dicendo che “una tragedia non ti toglierà la tua libertà”, l’informazione si fermerà alle prime versioni e perfino in televisione si parlerà solo di un “pakistano ubriaco”; tu continuerai a essere definito ragazzo o diciassettenne;
– se sei un fascista, insulti una donna perché nera, meni il marito che la difende e lui muore dopo il tuo pestaggio, sei solo un ultrà.” (Roberta Covelli).

«Quello che sorprende, forse non solo me, in questi casi è la mancanza di pudore a esprimere posizioni francamente razziste o fasciste» (Christian Raimo).

«Scrivo a voi che in queste ore siete lì a discutere sulla dinamica della rissa che ha provocato la morte Emmanuel Chidi Namdi, arrivato in ospedale con il cranio spaccato e in condizioni disperate per i colpi sferrati da Amedeo Mancini, “uno che se vede un negro gli tira le noccioline, ma lo fa per scherzare”, a detta di suo fratello. Vi scrivo mentre siete lì, davanti al vostro laptop o al vostro smartphone a improvvisarvi investigatori della scientifica, come i personaggi di quei telefilm che vi piacciono tanto, anche se in fondo sapete che sono tutte storie inventate che servono solo a farvi staccare il cervello per qualche ora. Ecco, ora provate ad attaccarlo, il cervello, per seguire questa breve storia […]» (Fabio Salamida).

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Su Twitter, Wu-Ming da ieri sera racconta il surreale (e squalificatissimo) dibattito che si sta sviluppando in Italia dopo l’assassinio di Emmanuel a Fermo:

Siamo ai «segni inequivocabili di un’aggressione».
Un morso e un livido sul petto.
Prepariamoci, lo schifo tracimerà.

Il messaggio che vogliono far passare: non osare difenderti. Devi accettare prevaricazioni e aggressioni senza agitarti. Sennò sei violento.

Del resto, nel ventre della borghesia italiana si è sempre pensato che chi è ucciso dai fascisti se l’è cercata. Figurarsi un negro.

Se sei diverso e inferiore, muto e, soprattutto, fermo. La tua sola esistenza è una colpa.

Perché noi siamo «gli Italiani». Siamo brava gente. Possiamo emigrare ovunque ma se immigri qui son cazzi tuoi.

– Perché noi ovunque siamo andati abbiamo fatto del bene!
– Ma abbiamo invaso altri paesi, esportato la mafia…
– Taci, anti-italiano!

– Quando c’era Lui i negri stavano al loro posto! DVX!
– Quindi sei fascista.
– No, io non faccio politica!

– Casseri reggeva bandiere di Casapound con membri di Casapound davanti alla sede di Casapound.
– Non c’entrava niente con noi di Casapound!

– Mancini non è fascista!
– Indossava una T-shirt della band ufficiale di Casapound…
– Siete voi i veri fascisti!

– Il nigeriano non era altro che un vigliacco!
– È morto affrontando con coraggio uno molto più grosso di lui.
– Taci, amico dei negri!!1!

– Onore! Italia! Via gli sporchi negri! Scimmie!
[Un minuto dopo:]
– Guardate, mi ha fatto un livido!
– Ma tu l’hai ucciso.
– Anti-italiano!

– Emmanuel e Chiniary sono scampati a Boko Haram, han perso la figlia di 2 anni e un bimbo in grembo.
– Mancini non può andare allo stadio!

– Emmanuel e Chiniary sono stati perseguitati, picchiati, sono arrivati qui per miracolo…
– Pisana Bachetti ha dovuto cancellarsi da FB!

In Italia non c’è il razzismo! La verità è che ci sono troppi negri!

– È il negro il colpevole! Ha aggredito l’italiano!
– Ma ad aver provocato e ucciso è l’italiano.
– I processi non si fanno sui social!

– Du-ce! Du-ce!
– Fascista!
– No, siete voi antifascisti i veri fascisti!

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INTEGRAZIONE del 17 agosto 2016:
Come ho affermato fin dal titolo di questo post, la violenza verbale produce violenza fisica. E’ quanto afferma anche Yuval Rabin, figlio dell’ex premier israeliano ucciso nel 1995, in un articolo per “USA Today“, riportato dal “CorSera“:

“Che le parole possano uccidere l’ha imparato la sera di novembre del 1995 in cui hanno sparato a suo padre. […] Yitzhak Rabin è stato ucciso da Yigal Amir ed è stato prima eliminato da chi lo ha ritratto come un criminale nazista, lo ha delegittimato, ha fatto credere che avesse tradito e indebolito Israele. Il figlio Yuval, che oggi ha 61 anni, ha sentito l’assonanza, il rullare del rancore: i toni oltranzisti per trasformare l’altra parte, il contendente con le idee diverse, in nemico da abbattere. […] La destra che aizza gli estremisti contro il padre, sempre a parole come Trump, sempre smentendo. Dopo. Ha la certezza, lo ha imparato nel dolore, che i comizi spargano semi pericolosi. […]”.

Informazioni su giogg

Studio il rapporto tra gli esseri umani e i loro luoghi, soprattutto quando si tratta di luoghi "a rischio"
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