Puntuali, ad ogni celebre dipartita, i socialmedia si spaccano: da un lato coloro che corrono a commemorare (facilmente, confortevolmente, banalmente, opportunisticamente, sinceramente…), dall’altro coloro che recitano il ruolo degli anticonformisti (quelli che “non lo conoscevo, non ho nulla da ricordare” o quelli che “se ne sono accorti solo oggi“). Entrambi gli schieramenti sono attori attivi nella grande “celebrazione” mediatica, chi piange e chi sbuffa per il pianto altrui. (Sì, poi c’è un terzo gruppo, il più vasto, quello di chi non si esprime, per un’infinità di ragioni). Il caso più recente è quello di Marco Pannella: un po’ di tweet sono qui e qui.
Ora, in riferimento alla seconda tipologia, mi domando: perché? Fanno sul serio? Quant’è difficile comprendere che al giorno d’oggi il cordoglio passa pure di qua, cioè attraverso questo mezzo, queste modalità, questo linguaggio? E, d’altra parte, quant’è complicato realizzare che un personaggio noto appartiene ad una dimensione tra il familiare e l’etereo, per cui, quando se ne va, si è tutti giocoforza un po’ coinvolti? Ma poi, esattamente, cosa c’è che non va nel postare una canzone di un cantante appena scomparso, una battuta di un cabarettista, una frase di un politico, una trovata di un artista?
Per millenni i morti sono stati accompagnati dal pianto scenico e rituale delle prefiche ed oggi dovrebbe essere diverso?
In realtà, i ruoli sono mobili e fluidi: tutti noi a volte siamo nel primo gruppo, talaltra nel secondo, ma più spesso nel terzo.

Due pagine dell’Atlante Figurato del Pianto, nel libro di Ernesto de Martino, “Morte e pianto rituale nel mondo antico”, 1958. Le fotografie sono di Franco Pinna.
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