Oggi, 26 aprile, è un anniversario importante: sono 30 anni dal disastro di Chernobyl, nel 1986. Nel video qui sotto, realizzato dall’ “Institut de radioprotection et de sureté nucléaire” [anche qui] e diffuso da “Le Monde“, è riprodotta l’immensa nube radioattiva che si sprigionò dalla centrale in Unione Sovietica (oggi Ucraina) e che coprì l’Europa (il filmato riproduce i suoi movimenti fino al 9 maggio 1986).
Quella che è rimasta è una «invisibilità del male», come la chiama Jean-Pierre Dupuy, perché dietro di essa la catastrofe ha lasciato solo il nulla di campi devastati, villaggi in rovina, case disabitate: nessuna traccia di vita, giusto un sarcofago di cemento che ricopre il vecchio reattore, ancora radioattivo.
Per la verità, secondo uno studio pubblicato su “Current Biology” nell’ottobre 2015, nell’area interdetta agli umani è in atto un ripopolamento di animali: cani, lupi, alci, cinghiali, da cui si deduce che «gli esseri umani sono peggio delle radiazioni, per gli animali di Chernobyl».
Infine, segnalo che anche dopo un disastro del genere si può tornare a ridere, come testimoniano le fotografie di Daniele Ottobrino del reportage “Contaminati dall’allegria”, pubblicate tempo fa su “Frontiere News“.
Tra i tanti contributi di questi giorni, segnalo la graphic novel di Tiziano Angri pubblicata su “La Nuova Ecologia” di questo mese (disponibile online in pdf; la storia è alle pagine 69-72), che fa leva sull’invisibilità e l’impalpabilità di quest’incubo:
Pripyat (Ucraina), Namie (Giappone), Varosha (Cipro), Kantubek (Uzbekistan), Centralia (Pennsylvania, Stati Uniti), Epecuén (Argentina), Plymouth (Montserrat), Pompei (Italia).
Blandine Le Cain racconta su “Le Figaro” disastri diversi – nucleari, bellici, biochimici, incendiari, idrici, vulcanici… – che, tuttavia, hanno avuto medesimi risultati: l’abbandono di una città, un’apocalisse urbana.
Oggi “Slate.fr” gioca all’apocalisse: inserite il nome della vostra città e scegliete una catastrofe tra: Hiroshima, Haiti, Fukushima, Chernobyl, Vesuvio, Asteroide, Katrina e Kamehameha (cioè l’onda energetica di “Dragon Ball”).
Qua e là qualcuno è tornato a vivere a Chernobyl e non se ne vuole andare: «They have returned to their homes, where they can feel free. Having been born here they refuse to leave, even if that could mean they will have to die sooner». Ed è questa “strana” umanità che quelli come me guardano con più curiosità e interesse.
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