“Rabin, the Last Day / Le Dernier jour d’Yitzhak Rabin” (2015) è l’ultimo film di Amos Gitai, il più politico della sua carriera: un’indagine approfondita (talvolta didascalica) sull’assassinio del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, il 4 novembre 1995, per mano di un estremista. Integrando i suoi lunghi piani sequenza con filmati d’epoca, Gitai ha realizzato qualcosa che è più di un film: esplora il clima politico-religioso che ha armato quel killer (fin dagli anni Settanta), ma soprattutto lancia uno sguardo raggelante sull’attualità, dato che uno dei più drastici oppositori di Rabin all’epoca, Benjamin Netanyahu, da allora governa quasi ininterrottamente il Paese.
Scambio con un amico su fb:
FDA: su una cosa sono rimasto molto dubbioso: se l’ingenuità dei giudici rispetto agli errori (orrori) di Israele fosse fiction o realtà. In entrambi i casi, mi è sembrato assurdo. Non so se è meglio che sia stato Gitai a mettergli quelle parole in bocca o sia stato riportato qualcosa di reale. Comunque condivido totalmente la sensazione rispetto a Netanyahu, non sapevo fosse stato così dichiaratamente violento con Rabin.
GG: Credo che proprio la parte che evidenzi rappresenti la quota più originale della sceneggiatura. Credo, cioè, che quello “stupore” dei giudici sia un’allusione alla “riflessione interiore” che il capo della commissione auspica per l’intera società israeliana nella sua lettera finale.
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Per coincidenza (o forse no?), nello stesso giorno in cui ho visto il film, ho letto un articolo di Luca Misculin su “Il Post” intitolato “Israele è spacciato?“. Il testo spiega che “sempre più esperti e commentatori si dicono preoccupati che anni di politiche reazionarie abbiano compromesso il carattere ottimista del paese, e così la sua stessa sopravvivenza“. Si tratta di un interrogativo (e di una inquietudine) che lascia trasparire anche il film di Gitai.
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INTEGRAZIONE del 17 agosto 2016:
Come ho affermato fin dal titolo di un altro post, la violenza verbale produce violenza fisica. E’ quanto afferma anche Yuval Rabin, figlio dell’ex premier israeliano ucciso nel 1995, in un articolo per “USA Today“, riportato dal “CorSera“:
“Che le parole possano uccidere l’ha imparato la sera di novembre del 1995 in cui hanno sparato a suo padre. […] Yitzhak Rabin è stato ucciso da Yigal Amir ed è stato prima eliminato da chi lo ha ritratto come un criminale nazista, lo ha delegittimato, ha fatto credere che avesse tradito e indebolito Israele. Il figlio Yuval, che oggi ha 61 anni, ha sentito l’assonanza, il rullare del rancore: i toni oltranzisti per trasformare l’altra parte, il contendente con le idee diverse, in nemico da abbattere. […] La destra che aizza gli estremisti contro il padre, sempre a parole come Trump, sempre smentendo. Dopo. Ha la certezza, lo ha imparato nel dolore, che i comizi spargano semi pericolosi. […]”.