Questo post è datato 8 ottobre 2015.
Ogni mattina in Burundi si scoprono dei cadaveri. Le pagine fb e tw degli attivisti riportano fotografie raccapriccianti, al fine di denunciare l’ormai inarrestabile escalation di violenza (non si tratta solo di persone giustiziate, ma anche torturate). Evito di mostrare quelle immagini, ma segnalo due articoli di RFI che descrivono la gravità di quanto sta accadendo e che sembra destinato a peggiorare. La situazione si fa giorno dopo giorno più tesa e di recente il Consiglio dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite ha espresso forti preoccupazioni sulle violazioni in atto nel Paese, specie per l’uso eccessivo della forza da parte della polizia, e ha fatto un appello per un dialogo inclusivo. Che il potere di Nkurunziza stia commettendo dei “gravi crimini” è denunciato anche da numerose organizzazioni della società civile.
Secondo l’emittente “Radio Publique Africaine” (chiusa dal governo nel maggio scorso e tornata a trasmettere da un paio di giorni, sebbene il suo direttore sia ancora “nel mirino”), questa notte c’è stato un massacro a Makamba, nel sud, vicino al confine con la Tanzania: 34 ragazzi sono stati uccisi in un attacco, ma i dettagli sono ancora scarsi.
Altro luogo di forti tensioni è la prigione di Gitega, a sud della capitale Bujumbura, dove sono stati rinchiusi (in isolamento, secondo un avvocato) ventotto presunti golpisti del maggio scorso, e che sembra costantemente sotto assedio da parte della polizia [qui e qui].
La crisi interna, tuttavia, non è l’unica preoccupazione: da almeno una settimana ci sono scambi di sospetti e accuse tra Burundi e Rwanda. Il ministro degli esteri burundese, Alain Nyamitwe, ritiene che il Paese confinante abbia orchestrato le recenti violenze e che stia addestrando i ribelli. Dal canto suo, il Rwanda risponde che si tratta di illazioni e che queste affermazioni intendono solo distogliere l’attenzione dai problemi interni del Burundi [qui e qui]. Comunque sia, un diplomatico rwandese è stato dichiarato “persona non grata” e gli è stato intimato di lasciare il Burundi entro stamattina, 8 ottobre 2015, mentre invece a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, al confine con il Rwanda, è stata fermata un’auto burundese che trasportava armi.
Sempre sul piano internazionale, ma questa volta rispetto all’Europa, è da segnalare che il Belgio ha congelato 60 milioni di euro della cooperazione con il Burundi e questa sembra l’attuale strategia generale dell’Unione Europea nei confronti del Paese africano.
– – –
La foto ritrae un bambino burundese nel campo profughi di Mahama, in Rwanda.
– – –
Questo post è stato pubblicato originariamente sul mio fb.
– – –
AGGIORNAMENTO del 20 ottobre 2015:
Dopo stragi e disastri non è raro che vengano aperte pagine web o interi website “Obituary”, cioè di necrologi. Da qualche giorno è online un sito, “Enfants du Pays“, che ricorda i manifestanti morti in Burundi durante le proteste contro il terzo mandato del presidente Nkurunziza.
(Nonostante l’elezione incostituzionale di quest’ultimo, l’orrore non è cessato e non passa giorno che non si contino vittime; ieri, ad esempio, nella foresta di Kibira, nel nord del Paese, sono stati scoperti addirittura sei cadaveri).
– – –
INTEGRAZIONE dell’11 novembre 2015:
Nella crisi del Burundi hanno avuto (e continuano ad avere) un ruolo molto importante i social-media [qui e qui]. In generale, tanta parte delle proteste trova spazio sul web: un mese fa è stato aperto un sito necrologico con le vittime degli scontri e della repressione, oggi invece scopro una mappa interattiva che raccoglie le violenze commesse nel Paese durante la crisi politica e il periodo elettorale (maggiori informazioni sono fornite da “Le Monde“).
Intanto l’espressione “guerra civile” è sempre più presente negli articoli della stampa internazionale e la Francia sta spingendo il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a intervenire perché in Burundi cessino le violenze e torni il dialogo.
L’immagine è uno screenshot della mappa delle violenze.
– – –
AGGIORNAMENTO del 24 ottobre 2015:
Il Burundi è ormai un Paese destabilizzato. Dopo l’elezione – ritenuta incostituzionale – del presidente Nkurunziza a luglio e la proclamazione del nuovo governo a fine agosto, le violenze si sono intensificate. Dal 26 aprile, giorno in cui la crisi è ufficialmente esplosa, i morti sono 198, secondo quanto riportato ieri dall’Onu. Di questi, 63 si sono avuti nelle sole tre ultime settimane [qui e qui] e, in particolare, ha dichiarato il portavoce dell’UNHCR Ruper Colville, «siamo particolarmente scioccati da quel che è successo il 13 ottobre nel quartiere Ngagara di Bujumbura, quando 9 civili sono stati giustiziati sommariamente dalla polizia» [qui]. Secondo un’altra fonte, nello stesso periodo i morti sarebbero 300, tutti causati dagli Imbonerakure, le giovani milizie fedeli al presidente.
Ancora, in base ai dati raccolti dall’Osservatorio burundese della Violenza Armata (OAV), da gennaio ad agosto 2015 si sono avuti 1538 casi di violenza armata che hanno causato una media di 100 vittime al mese (tra morti e feriti), di cui il 42% nella sola capitale. Tutto ciò nonostante i periodici progetti di disarmo della popolazione lanciati negli anni.
Sul fronte diplomatico, il Burundi ha emesso una quarantina di mandati d’arresto internazionale contro i nemici del regime e questo inasprisce le tensioni con il Rwanda [qui e qui], anche se migliorano con l’Uganda. L’UE, invece, ha chiesto a Nkurunziza di recarsi a Bruxelles e attende una risposta entro 30 giorni, in mancanza della quale si sospenderà l’Accordo di Cotonou.
Tutto ciò avviene mentre si commemora una delle tragedie più grandi del Burundi, il massacro di 150 studenti nel liceo di Kibimba, il 21 ottobre 1993.
Altra questione importante riguarda i rifugiati all’estero su cui non sono disponibili nuovi dati, ma l’UNHCR la settimana scorsa ha sollevato una questione che si ripresenta ad ogni tregua, quando i profughi tornano in patria: chi ha diritto alla terra in Burundi? Chi lascia la propria casa e il proprio fondo, spesso li trova espropriati o occupati da altri e, in mancanza di documenti o di archivi, dirimere le dispute è un’operazione difficilissima.
Per terminare questo aggiornamento, una bella notizia: gli utenti del website “Jeune Afrique” hanno eletto Marguerite Barankitse «Africaine de l’année». Si tratta della fondatrice della ong burundese “Maison Shalom” che dagli anni Novanta si occupa di orfani e, per tale ragione, è conosciuta come la “mamma di 10mila bambini” e che nel maggio scorso era dovuta scappare perché minacciata dal regime.
Pingback: Il 2015 del Burundi | il Taccuino dell'Altrove