Sindumuja, mai più schiavi. Democrazia e partecipazione in Burundi

Da oltre un mese pubblico con una certa regolarità sul mio profilo facebook e sul “Taccuino” aggiornamenti sulla crisi del Burundi‬ (qui, qui e qui). Stamattina sono andato oltre la cronaca e ho scritto qualche considerazione sulla tenace lotta per la democrazia di migliaia di persone per le strade di Bujumbura. Il loro motto è “sindumuja”, “non saremo più schiavi”. Prestando ascolto a quelle voci ci si accorge che hanno qualcosa da dire anche a noi, in Europa.
Il post è il secondo del mio blog “Il gallo di Bali” su “Frontiere News”: vi è un po’ di storia, della cronaca, qualche esperienza personale e, appunto, alcune riflessioni generali: “Costruire la democrazia in Burundi, una lezione (anche) per l’Europa“.

Screenshot 2015-06-08 12.00.12

Clicca sullo screenshot per accedere all’articolo su “Frontiere News”.

Spero possa interessarvi. Buona lettura.

PS: Tra gli altri, su fb hanno rilanciato questo post: Monica, Joshua, Frontiere News ed io stesso.

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INTEGRAZIONE del 10 giugno 2015 (fb):
Dopo 45 giorni di proteste, Ketty Nivyabandi ha scritto un post molto intenso, ricco di spunti di sostegno alla lotta in difesa della democrazia in Burundi, nonché di insegnamento per molti altri, come ad esempio noi europei (concetto espresso nel mio post e che ribadisco: è esattamente il contrario di uno spirito neocoloniale).

«…La lotta pacifica che conduciamo è enorme. Forse questa è la più grande della nostra generazione.
Stiamo combattendo per la libertà.
Per la giustizia.
Per la verità.
Non stiamo lottando per la sopravvivenza.
Lottiamo per vivere.
Non lottiamo solo per la pace.
Lottiamo per l’abbondanza. Per l’eccellenza. Per uno stato di diritto, e ciò per tutti i bambini del ‪‎Burundi
‬…»
(Ketty Nivyabandi)

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AGGIORNAMENTO dell’11 giugno 2015 (fb):
Da alcuni giorni, seguire la crisi in Burundi è diventato più difficile: hanno lasciato il Paese sia Thais Brouck di “France 24”, a cui è stato ritirato l’accredito giornalistico, sia David Thomson di “RFI”, dopo che – rivela “Amnesty International” – “ha ricevuto delle telefonate minacciose e un sms da parte di un alto funzionario burundese“. Intanto il governo comunica che la “Maison de la Presse” è stata riaperta, ma non vi possono accedere i rappresentanti e gli impiegati delle radio sotto inchiesta giudiziaria: un paradosso che non si preoccupa di risultare ridicolo.
Pertanto, per rendersi conto dello stato delle proteste (alcune fanno uso di fischietti per segnare la fine della partita), bisogna affidarsi a quanto riferiscono gli attivisti più in vista, come Pacifique Nininahazwe, che scrive di un morto a Buyenzi e di un estendersi delle manifestazioni alla provincia di Makamba.
Sul piano istituzionale, la proposta della Ceni (Commissione Elettorale Nazionale Indipendente) di formulare un nuovo calendario di votazioni è stata accolta dal governo, che ieri ha decretato il 15 luglio come giorno delle elezioni presidenziali. Com’è intuibile, tutto ciò è accaduto in maniera unilaterale, senza considerare le richieste dell’opposizione, ignorando i ritiri delle missioni di osservazione elettorale dell’UE e perfino della Chiesa Cattolica. Va crescendo, dunque, l’ipotesi di un boicottaggio delle elezioni da parte delle opposizioni, il ché rende più difficile la possibilità che si avvii un dialogo costruttivo: l’inviato speciale dell’Onu, Said Djinnit, ad esempio, si è dimesso dal suo ruolo di “facilitatore del dialogo interburundese” (ma di questo l’opposizione si è rallegrata perché era considerato non equilibrato, mentre il governo se ne è dispiaciuto).
In questo caos, restano drammatiche le condizioni dei rifugiati all’estero: centinaia di bambini e adolescenti burundesi soli, senza genitori, stanno raggiungendo il Rwanda per fuggire dalle rappresaglie degli Imbonerakure e a sud, tra i profughi scappati in Tanzania, si ripetono drammi già vissuti nelle crisi dei decenni scorsi, come nella toccante storia raccontata per l’Unhcr da Céline Schmitt.
Intanto, l’Unicef diffonde una bella notizia: in un campo di rifugiati burundesi in Tanzania è nato il piccolo Etangishak.

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AGGIORNAMENTO del 12 giugno 2015 (fb):
Anche la Germania ha sospeso ogni attività di cooperazione con l’attuale governo del Burundi e il capo della Missione di Osservazione Elettorale dell’UE, David Martin, ha dichiarato al Parlamento UE che «al momento è impossibile» procedere in tale compito. Ieri si è aperto il 25esimo summit dell’Unione Africana a Johannesburg e al cuore delle discussioni c’è proprio la crisi burundese, sebbene il governo di Nkurunziza affermi che tutto è rientrato nella norma.
Sono da segnalare, infine, due interventi dal mondo accademico.
Il primo è l’intervista che il prof. André Guichaoua (Université Paris 1, Panthéon Sorbonne) ha rilasciato a RFI, in cui fornisce la sua lettura della situazione in Burundi: «La crise burundaise renvoie à des frustrations économiques, sociales et politiques».
Il secondo è una conferenza/dibattito (“Burundi: démocratie en péril”) organizzata dall’Université Libre de Bruxelles il 2 giugno scorso, di cui ieri è stato diffuso il video integrale (2h30′):

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INTEGRAZIONE del 16 giugno 2015:
Amandine Réaux riferisce su “Le Monde” della crescente femminizzazione della politica africana (grazie alle quote), di cui sono segno anche le manifestazioni di protesta burundesi di sole donne: QUI.

Informazioni su giogg

Studio il rapporto tra gli esseri umani e i loro luoghi, soprattutto quando si tratta di luoghi "a rischio"
Questa voce è stata pubblicata in alterità, antidoti, burundi, guerra e pace, riflessioni, segnalazioni, taccuino 2.0 e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

5 risposte a Sindumuja, mai più schiavi. Democrazia e partecipazione in Burundi

  1. giogg ha detto:

    Commenti (nel primo caso così piegati su loro stessi da risultare incomprensibili) apparsi sotto l’articolo su “Frontiere News”:

    François Gobbi:
    Pretendere di parlare di democrazia nell-assoluto, indipendentemente dal contesto, se non fosse semplicemente retorica neocoloniale standard da giornalista occidentale, sarebbe semplicemente un idiozia.

    Valeria Alfieri:
    Grazie Giogg per questo articolo ricco di spunti di riflessione. Emerge molto chiaramente come la democrazia, o meglio la lotta per la democrazia, la rivendicazione di principi democratici da parte di una grossa fetta della popolazione burundese intervenga da un lato per consolidare i traguardi faticosamente raggiunti con la fine della guerra, e dall’altro per uscire dallo stato di silenzio e sottomissione in cui un regime sempre più autoritario vuole confinare la popolazione. Evidente, dunque, come la democrazia di cui ci stai parlando sia perfettamente raccontata nel suo contesto: quello di un governo autoritario che ha a che fare con un popolo in cui il “mango della democrazia”- come lo definisci tu – è maturato. Coraggio a tutto il popolo burundese a continuare su questo cammino!

    • giogg ha detto:

      Dopo 45 giorni di proteste, Ketty Nivyabandi ha scritto un post molto intenso, ricco di spunti di sostegno alla lotta in difesa della democrazia in Burundi, nonché di insegnamento per molti altri, come ad esempio noi europei (concetto espresso nel mio post e che ribadisco: esattamente il contrario di uno spirito neocoloniale).
      – – –
      «…La lotta pacifica che conduciamo è enorme. Forse questa è la più grande della nostra generazione.
      Stiamo combattendo per la libertà.
      Per la giustizia.
      Per la verità.
      Non stiamo lottando per la sopravvivenza.
      Lottiamo per vivere.
      Non lottiamo solo per la pace.
      Lottiamo per l’abbondanza. Per l’eccellenza. Per uno stato di diritto, e ciò per tutti i bambini del ‪‎Burundi
      ‬…» (Ketty Nivyabandi) (sul mio fb)
      – – –
      Ketty Nivyabandi
      Je sens, entends, perçois quelques lanternes qui faiblissent dans le vent de la nuit…
      Des questions qui se dressent, plus haut que des réponses. Une peur qui s’installe, qui se tasse dans le fond de nos ventres.
      45 jours après, nous sentons le poids de la lutte, nous commençons à craindre ce brouillard épais qui se resserre. Et cette question, qui tourne en rond dans nos cervelle: ou allons-nous?
      Une question que je connais trop bien, car elle me visite à chaque instant.
      Le doute fait partie de toute lutte, de tout combat, de toute quête vers un idéal, vers toute chose de valeur. L’important est de savoir le reconnaitre et le remettre à sa place.
      Le combat pacifique qui se mène chez nous est énorme. C’est peut être le plus grand de notre génération.
      Nous nous battons pour la liberté.
      Pour la justice.
      Pour la vérité.
      Nous ne nous battons pas pour survivre.
      Nous nous battons pour VIVRE.
      Nous ne nous battons pas seulement pour la paix.
      Nous nous battons pour l’abondance. Pour l’excellence. Pour un état de droit, et ce pour TOUS les enfants du Burundi.
      Que leurs parents soient morts en 72 ou en 93. Nous nous battons pour que ces plaies qui nous hantent guérissent. Pour que le spectre de tous nos morts ne gouverne plus chacun de nos actes et de nos pensées.
      Nous nous battons pour que chaque burundais compte, quelle que soit son histoire. Hier. Aujourd’hui. Et demain.
      Alors à ceux qui seraient tentés de baisser les bras, de capituler devant le poids qui nous oppresse, relevez vous. Soyez vaillants.
      Rinda ubwoba.
      Sachez que la nuit qui vous guette est de loin plus cruelle que le crépuscule que vous vivez aujourd’hui. Car que peut nous réserver cette main de fer qui reste insensible devant un pays qui brule? Qui n’entend aucun cri de ses enfants?
      Nous ne sommes “qu’un pour-cent” dit-il. Admettons une minute que ce mensonge soit vrai. Un pour-cent ce sont tout de même 100,000 mille burundais!
      Je rêve d’un homme d’état pour qui l’avis, les cris et la vie de 100,000 burundais compte pour quelque chose. Je rêve d’un dirigeant qui ne peut s’endormir sachant que 100,000 burundais sont dans la misère de l’exil.
      Nous méritons tellement mieux…
      Mais nous n’aurons jamais ce mieux, si nous nous plions au pire.
      Le prix à payer est terrible, j’en suis consciente. Mais il n’est rien comparé à ce qui nous attend.
      Courage, mes cher(e)s ami(e)s, courage. Osez revendiquer ce qui vous est du. Nous sommes en 2015. Osons revendiquer un dirigeant qui nous honore, un/une leader pour qui chaque burundais est une priorité.
      Osons rester debout pour les lois qui nous gouvernent. Pour un futur ou chaque enfant aura sa place.
      C’est notre droit le plus élémentaire et le plus fondamental.
      Et pour ceux qui se demandent encore pourquoi ne pas juste régler la question par un vote, faites preuve, de grâce, d’un minimum de bon sens. Ce qui se passe chez nous est inacceptable sous d’autres cieux.
      Je suis pour le compromis, sauf lorsqu’il nous compromet. En disant oui à la candidature de Nkurunziza nous acceptons d’être régis par le mensonge, la médiocrité, et comme disait quelqu’un d’autre avec bcp de sagesse, par la loi du plus fort.
      Osons revendiquer UBurundi Buhire.
      Osons rester debout.
      Pour nos enfants, et toutes nos futures générations, plus que tout.
      Ne soyons pas un autre maillon défaillant dans la chaine de notre douloureuse histoire.
      Rinda. Komera. Izigire.
      UBurundi buri muminwe yacu twese
      .

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