Ad un mese dall’inizio della crisi politica e democratica del Burundi e dopo il tentativo di un colpo di Stato, la situazione attuale del piccolo Paese africano è sempre più intricata e preoccupante.
Nonostante violenze, arresti, attentati e chiusura delle radio, le proteste continuano, sia a Bujumbura che in altre località, sebbene la repressione si faccia sempre più violenta (pare che i morti, dall’inizio delle manifestazioni, siano almeno 50): lo scrivono l’agenzia Onu dei diritti umani [anche in francese] e l’International Crisis Group. Venerdì 29 maggio, però, vi è stato un episodio particolarmente drammatico, che ha ulteriormente aggravato la situazione: nel pieno centro della capitale, sotto la sede della Banca del Kenya c’è stata una forte esplosione che ha causato tre morti e decine di feriti. Ciò, tuttavia, non ha fermato i manifestanti, che hanno continuato a bloccare le strade e i quartieri anche nel fine settimana, nonostante la repressione [di cui hanno scritto sia Al Jazeera che RFI]. A questo proposito, è da segnalare che tra le contestazioni più interessanti c’è quella delle donne: giornaliste, poetesse, avvocatesse… di cui parla anche un articolo in italiano. (Altri due articoli sull’attivismo delle donne burundesi sono questo e questo).
Le condanne internazionali alla violenza sono state molte, come quelle del Dipartimento di Stato degli USA [ne ha scritto anche Iwacu] e dell’Onu. Il Presidente francese Hollande, inoltre, ha elogiato il Burkina Faso, auspicando che il Burundi ne ricalchi l’esempio e il consigliere di Ban-Ki-Moon, il senegalese Adama Dieng, scongiurando il peggio (ovvero una guerra civile che usi nuovamente l’etnia come elemento di divisione), avverte che «il Burundi non ha il diritto di far riemergere i demoni del passato».
Domenica a Dar-es-Salaam, in Tanzania, si è tenuto un nuovo summit dei Capi di Stato dell’Africa Orientale, ma non si è avuto alcun risultato apprezzabile (prevedibilmente, non si è presentato Nkurunziza, ma, più sorprendentemente, nemmeno Kagame del Rwanda): la frattura è intorno alla candidatura del Presidente per un terzo mandato (che è incostituzionale), non sul rinvio delle elezioni [ad esempio, ecco cosa ne pensa un attivista]. Ciò ha provocato una forte delusione tra i manifestanti burundesi, che tuttavia sono sempre più decisi a proseguire le proteste [se ne parla anche qui], nonostante la crescente paura di rappresaglie e la disillusione verso gli “uomini forti” (stamattina c’è stato un nuovo lancio di granate a Buterere che ha causato la morte di un uomo di 38 anni e il ferimento di un bambino di 4).
Le elezioni, dunque, sono sempre più incerte [video] e non si conosce il nuovo calendario elettorale: il vicepresidente della Ceni (Commissione Elettorale Nazionale Indipendente) è espatriato, anzi le defezioni potrebbero essere di più; da più parti si chiede l’intervento di una forza internazionale o, comunque, una forza di interposizione; l’Unione Europea ha sospeso la missione di osservazione elettorale perché «non ci sono le condizioni per delle elezioni credibili». Intanto, gli USA hanno ribadito la loro avversione al terzo mandato di Nkurunziza e l’Onu invita a riprendere il dialogo (opzione appena accettata da una parte dell’opposizione).
L’ostinazione di Nkurunziza non prospetta nulla di buono: “Libération” scrive che stiamo assistendo alla nascita di un dittatore e “Le Monde” osserva che il dissenso è ormai schiacciato dal potere. Tuttavia, per resistere all’opposizione interna e alle pressioni internazionali per tante settimane, probabilmente il Presidente non è così solo come si crede: il suo vice, ad esempio, sostiene che sono state diffuse troppe menzogne, «Nkurunziza non è un mostro».
In ogni caso, per non farsi travolgere dagli eventi è bene tornare sulle origini di questa crisi: Sonia Rolley ha realizzato un’emissione radiofonica in cui ne racconta i primi 15 giorni, “Arte” ha trasmesso un reportage intitolato “Hanno ucciso la democrazia” [anche qui e qui] e il professor Jean-Pierre Chrétien propone un’analisi storica della regione.
Intanto, nonostante il governo dichiari che tutto va bene (“più del 99% del Paese è in pace“), l’economia burundese è completamente ferma e le condizioni dei rifugiati all’estero sono sempre più difficili, come documenta un dettagliato report dell’Unhcr (in pdf).
Infine, la colonna sonora delle proteste burundesi è attualmente “Patriot”, un rap che racconta la crisi del Paese, i presidi lungo le strade della capitale, la repressione della polizia, la censura dell’informazione, ma anche le speranze di una generazione che si sta mobilitando per difendere la Costituzione e gli Accordi di Pace di Arusha:
– – –
INTEGRAZIONE:
La nave “Liemba” è una vecchia imbarcazione tedesca costruita nel 1913; si trova nel grande lago Tanganyika e fa la spola tra il #Burundi meridionale e Kagunga, un villaggio costiero in Tanzania. La nave, noleggiata dall’UNHCR, sta aiutando a fuggire decine di migliaia di persone: accalcate sulla spiaggia burundese, aspettano un passaggio su vecchie barche da pesca che permettano loro il trasbordo sulla “Liemba”. Questa può accogliere 600 persone, per cui il trasferimento completo in Tanzania richiede fino 10 ore.
Quel che i rifugiati poi trovano dall’altra parte del confine è un altro inferno: trasferiti in pullman allo stadio di calcio di Nyaragusu, trasformato in un campo temporaneo, non hanno acqua potabile, né latrine e le loro condizioni di vita sono disastrose. Inoltre, tra le 70mila persone che dalla fine di aprile hanno raggiunto in questo modo Kagunga, è scoppiata un’epidemia di colera: su 3mila casi segnalati, già 31 sono le morti accertate.
Benjamin Loyseau, fotografato dell’UNHCR, ha testimoniato questa crisi umanitaria con una galleria di immagini altamente drammatica pubblicata il 2 giugno da “Paris Match”:
– – –
AGGIORNAMENTO del 5 giugno 2015:
In Burundi le elezioni comunali che si sarebbero dovute svolgere oggi sono state rinviate a data da destinarsi, inoltre il governo ha fatto sapere che il terzo mandato per Nkurunziza non è un tabù, il che lascia sperare in un avanzamento del dialogo.
Sul piano diplomatico internazionale, si registrano le forti prese di posizione contro il presidente di Samantha Power, ambasciatore USA all’ONU, di Kofi Annan, ex Segretario Generale dell’ONU (anche qui e qui) e della Francia presso l’ONU.
Tuttavia, è da rilevare anche l’accusa di parzialità che l’opposizione burundese ha rivolto a Saïd Djinnit, il mediatore delle Nazioni Unite. Sempre di parzialità (e di incitamento alla ribellione) è stato accusato Thaïs Brouck, corrispondente dal Burundi di “France 24”, al quale è stato ritirato l’accredito giornalistico e non è chiaro se l’intera equipe della testata abbia lasciato il Paese.
Infine, sul numero in edicola di “Charlie Hebdo” c’è una vignetta sulla crisi dello Stato africano.
Pingback: Sindumuja, mai più schiavi. Democrazia e partecipazione in Burundi | il Taccuino dell'Altrove
Pingback: Burundi: rumore all’ora dei notiziari | il Taccuino dell'Altrove
Pingback: Il 2015 del Burundi | il Taccuino dell'Altrove