Alcuni giorni fa una bimba di due anni ha toccato un cavo elettrico in una baraccopoli di Giugliano, in provincia di Napoli, ed è morta dopo un’agonia di una settimana. L’Osservatorio sul Razzismo in Italia ha raccolto gli sconcertanti commenti che, pubblicamente, molti nostri concittadini hanno lasciato sotto la pagina fb di un webjournal che riportava la drammatica notizia (poi ripresi anche da Saverio Tommasi). Mi domando dove siano andati a scuola questi abominevoli commentatori e mi chiedo come facciano a non provare empatia con una tragedia immane: com’è possibile che non fermino le proprie dita sulla tastiera e che non siano presenti ai propri pensieri nazisti? O forse non vogliono e, anzi, sono perfettamente lucidi? Eventualmente, cosa deve spaventarci di più, la loro freddezza o la loro inconsapevolezza?
Intanto, in un asilo di Cantù delle maestre si trovano ad affrontare il caso di un bambino di quattro anni a cui i genitori hanno insegnato il “saluto romano” (proibito dalla Costituzione italiana, che è antifascista). I bambini respirano una certa aria e imitano: in questo caso quel bambino riproduce l’anacronistico gesto di una mentalità asfissiante, illiberale e razzista, mentre i due genitori balbettano spiegazioni puerili, ignoranti ed egotiche: «vogliamo dare a nostro figlio un’educazione naturale, di rispetto per la terra, l’agricoltura, le tradizioni». Ecco un fulgido esempio di come principi auspicabili possano essere completamente distorti da un mix di analfabetismo e protervia: lo dico sempre che bisogna diffidare dell’apologia di tradizione, l’esaltazione acritica del “come eravamo” degenera nell’autarchia fascista, è inevitabile, è sempre stato così. Ebbene, per fortuna che quelle maestre non sono state indifferenti.
Ora, non vorrei che pensiate che mischio argomenti o che metta drammi diversi sullo stesso piano o, ancora, che la questione sia politica. Per favore, potete anche essere dell’idea che “tutto è politica” (ed eticamente può anche starci), ma per una volta evitiamo, facciamo che alcune cose restino fuori dal dibattito, dalla propaganda, dal braccio di ferro. Tra queste cose direi di inserire il rispetto delle altrui competenze, come nel caso della scienza e della medicina, ma anche – e qui credo di ricongiungermi ai due casi a cui ho fatto riferimento – della dignità degli insegnanti. Ne ha scritto Amalia Signorelli stamattina, turbata e incavolata come alcuni di noi ben ricordano all’università. Ebbene, sarò sincero, io non ho approfondito la riforma della cosiddetta “buona scuola”, non so in cosa consiste e non so esattamente perché viene contestata da molti; riprendo, però, un’osservazione della professoressa: «se oltre un milione di persone ‘non capisce’ […] la validità della proposta [governativa], io non dico che vi debba venire il dubbio che sia una cattiva proposta, […] ma almeno che l’abbiate spiegata male? O no? Pure le vostre spiegazioni sono sempre infallibili?».
Di cattivi maestri ce ne sono eccome, ma in genere non sono quelli in aula. Piuttosto, questi altri maestri, questi che quotidianamente vanno in classe nonostante un logorante precariato sottopagato, per una volta vogliamo ascoltarli? Se la nostra società tiene (ancora, ma per quanto?) è innanzitutto grazie agli insegnanti che, nei loro allievi, sanno riconoscere i virus che venti e trent’anni fa hanno iniziato a dilagare nel corpo della nostra società, nelle coscienze degli adulti odierni, vigliacchi opinionisti da tastiera che non sanno avere pietà di una bambina innocente.
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Sul mio fb.
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Il professore statunitense Dexter Thomas, riferisce Slate.fr, ritiene che non bisogna cancellare i propri contatti fb che esprimono odio, razzismo e, in generale, che fanno dello hate-speech: questo non perché essi abbiano bisogno di voi o dei vostri lumi, ma perché costituiscono «la seule chose qui vous permette de garder les pieds sur terre» e perché, tagliare ogni rapporto, sebbene virtuale, sarebbe un’imitazione della «leur ignorance volontaire».
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Studio il rapporto tra gli esseri umani e i loro luoghi, soprattutto quando si tratta di luoghi "a rischio"
La scuola come antidoto
Alcuni giorni fa una bimba di due anni ha toccato un cavo elettrico in una baraccopoli di Giugliano, in provincia di Napoli, ed è morta dopo un’agonia di una settimana. L’Osservatorio sul Razzismo in Italia ha raccolto gli sconcertanti commenti che, pubblicamente, molti nostri concittadini hanno lasciato sotto la pagina fb di un webjournal che riportava la drammatica notizia (poi ripresi anche da Saverio Tommasi). Mi domando dove siano andati a scuola questi abominevoli commentatori e mi chiedo come facciano a non provare empatia con una tragedia immane: com’è possibile che non fermino le proprie dita sulla tastiera e che non siano presenti ai propri pensieri nazisti? O forse non vogliono e, anzi, sono perfettamente lucidi? Eventualmente, cosa deve spaventarci di più, la loro freddezza o la loro inconsapevolezza?
Intanto, in un asilo di Cantù delle maestre si trovano ad affrontare il caso di un bambino di quattro anni a cui i genitori hanno insegnato il “saluto romano” (proibito dalla Costituzione italiana, che è antifascista). I bambini respirano una certa aria e imitano: in questo caso quel bambino riproduce l’anacronistico gesto di una mentalità asfissiante, illiberale e razzista, mentre i due genitori balbettano spiegazioni puerili, ignoranti ed egotiche: «vogliamo dare a nostro figlio un’educazione naturale, di rispetto per la terra, l’agricoltura, le tradizioni». Ecco un fulgido esempio di come principi auspicabili possano essere completamente distorti da un mix di analfabetismo e protervia: lo dico sempre che bisogna diffidare dell’apologia di tradizione, l’esaltazione acritica del “come eravamo” degenera nell’autarchia fascista, è inevitabile, è sempre stato così. Ebbene, per fortuna che quelle maestre non sono state indifferenti.
Ora, non vorrei che pensiate che mischio argomenti o che metta drammi diversi sullo stesso piano o, ancora, che la questione sia politica. Per favore, potete anche essere dell’idea che “tutto è politica” (ed eticamente può anche starci), ma per una volta evitiamo, facciamo che alcune cose restino fuori dal dibattito, dalla propaganda, dal braccio di ferro. Tra queste cose direi di inserire il rispetto delle altrui competenze, come nel caso della scienza e della medicina, ma anche – e qui credo di ricongiungermi ai due casi a cui ho fatto riferimento – della dignità degli insegnanti. Ne ha scritto Amalia Signorelli stamattina, turbata e incavolata come alcuni di noi ben ricordano all’università. Ebbene, sarò sincero, io non ho approfondito la riforma della cosiddetta “buona scuola”, non so in cosa consiste e non so esattamente perché viene contestata da molti; riprendo, però, un’osservazione della professoressa: «se oltre un milione di persone ‘non capisce’ […] la validità della proposta [governativa], io non dico che vi debba venire il dubbio che sia una cattiva proposta, […] ma almeno che l’abbiate spiegata male? O no? Pure le vostre spiegazioni sono sempre infallibili?».
Di cattivi maestri ce ne sono eccome, ma in genere non sono quelli in aula. Piuttosto, questi altri maestri, questi che quotidianamente vanno in classe nonostante un logorante precariato sottopagato, per una volta vogliamo ascoltarli? Se la nostra società tiene (ancora, ma per quanto?) è innanzitutto grazie agli insegnanti che, nei loro allievi, sanno riconoscere i virus che venti e trent’anni fa hanno iniziato a dilagare nel corpo della nostra società, nelle coscienze degli adulti odierni, vigliacchi opinionisti da tastiera che non sanno avere pietà di una bambina innocente.
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Sul mio fb.
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Il professore statunitense Dexter Thomas, riferisce Slate.fr, ritiene che non bisogna cancellare i propri contatti fb che esprimono odio, razzismo e, in generale, che fanno dello hate-speech: questo non perché essi abbiano bisogno di voi o dei vostri lumi, ma perché costituiscono «la seule chose qui vous permette de garder les pieds sur terre» e perché, tagliare ogni rapporto, sebbene virtuale, sarebbe un’imitazione della «leur ignorance volontaire».
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Studio il rapporto tra gli esseri umani e i loro luoghi, soprattutto quando si tratta di luoghi "a rischio"