Giusto qualche esempio delle commemorazioni online di alcuni politici italiani nel “Giorno della Memoria” 2015:
Giorgia Meloni:
Gianni Alemanno:
Maurizio Gasparri:
Matteo Salvini:
Per politiche (e linguaggi) coerenti con cotante profonde parole, rimandiamo al prossimo 27 gennaio.
– – –
Oltre alla retorica, all’ipocrisia e alle vuote celebrazioni di una data speciale fissata per legge (rischio usuale in ogni “Giorno di…”), un elemento ricorrente del “Giorno della Memoria” è il paragone ad altri orrori: e allora le Foibe? e allora i Palestinesi? (Figures in action vi ha fatto una vignetta), a cui puntualmente taluni rispondono che la Shoah è un evento unico ed estremamente specifico.
A questo proposito, Leonardo Tondelli pone una domanda cruciale (27 gennaio 2015):
che ce ne facciamo di una tragedia assoluta se non possiamo usarla come termine di paragone? Che senso ha ricordare l’orrore nazista se poi dobbiamo subito puntualizzare che nessun orrore sulla terra può essere paragonato a esso? O qualche orrore può essere paragonato a esso, senza che nessuno si offenda?
La memoria è selettiva, ricordiamo, cioè, solo ciò che ci conviene, solo ciò che ci è utile. Il punto centrale del discorso sulla memoria, dunque, riguarda chi la seleziona. Che la memoria di quanto avvenne (fino a) 70 anni fa venga selezionata da certi imprenditori politici dell’odio, a me sembra un rischio enorme, che – oggi e sempre – va evitato per il bene di tutti (ecco cosa diceva uno dei celebranti via-tweet che ho raccolto qui sopra: “I topi sono più facili da debellare degli zingari“, 9 aprile 2008) (ed ecco come si faceva fotografare negli anni ’70 un altro dei twittatori).
Più che una “celebrazione”, dunque, ritengo il 27 gennaio come la data in cui si invita a meditare su quel che fu (e, appunto, che in tanta parte del mondo ancora è, compreso il nostro Paese, in cui la bestialità di allora è ancora presente nei discorsi di certi leader). Si tratta di un giorno all’anno in cui ascoltiamo le parole che avremmo dovuto scolpire nel nostro cuore (altrimenti, ammoniva Primo Levi, che “i vostri nati torcano il viso da voi“). Quelle parole vanno ripetute ai nostri figli e per quanto a noi adulti possa sembrare ripetitivo, non bisogna tralasciare che ogni anno c’è una generazione nuova di studenti a cui quella storia va raccontata: “Pensate soltanto a quanti italiani sono passati nelle nostre scuole negli ultimi quindici anni“, osserva Tondelli.
Ogni orrore è un unicum e ogni orrore è incommensurabile, ma la Shoah non ha pari per dimensioni e modalità con cui avvenne. Tuttavia proprio il suo essere considerata un evento irripetibile l’ha resa termine di paragone per riconoscere e denunciare qualsiasi male (“intermedio”, se mi si concede il termine) che quotidianamente viene perpetrato (o preparato) nel mondo.
– – –
Infine, va ribadito che il “Giorno della Memoria” è un giorno di riflessione per tutti, specie per chi vittima non fu. Lo ricorda opportunamente Pierpaolo Pinhas Punturello su facebook:
Oggi non mi ricordo di niente. Oggi chiederò a voi cosa ricordate, cosa pensate, cosa avete capito. Oggi non mi ricordo di niente perché questo “oggi” non è un giorno che mi appartiene. Il popolo ebraico ha subito la Shoa’, non è un prodotto della stessa. Noi siamo il prodotto della nostra cultura e fede come tante altre realtà identitarie. Oggi non mi ricordo di niente, perché il ricordo è parte di me. Sarebbe come a dire che mi ricordo dei miei piedi. Oggi sono un punto interrogativo in giro per l’Europa.
E lo sottolinea anche Stefania Mascetti in questo articolo, in cui osserva che:
Sono passati solo dieci anni dalla sua istituzione, eppure già si parla di logorio del giorno della memoria, lo si considera un esercizio retorico e già liso. Ma in tempi di antisemitismo e antigitanismo, di razzismo e di crisi della convivenza, in tempi in cui i testimoni viventi stanno scomparendo, il giorno della memoria non è solo una parentesi di retorica buonista: è un’occasione per interrogarsi sulle radici e sul futuro delle società europee.