Tossicità del webjournalism locale

Tra le modalità venefiche del giornalismo 2.0 va aggiunta questa, particolarmente apocalittica, che ho scoperto oggi.
Brevemente, il metodo consiste in:

  1. lanciare un tema “sensibile” su un gruppo fb,
  2. fare in modo che alcuni individui dotati di “giudizi preventivi” soffino sul fuoco,
  3. lasciare che un po’ di frustrati vomitino odio,
  4. copiare/incollare una selezione delle frasi più veementi sul proprio webjournal che, dunque, ricevendo click, aumenta i profitti pubblicitari.

Notevole, eh?

Informazioni su giogg

Studio il rapporto tra gli esseri umani e i loro luoghi, soprattutto quando si tratta di luoghi "a rischio"
Questa voce è stata pubblicata in alterità, antidoti, guerra e pace, letto-visto-ascoltato, migranti, riflessioni, segnalazioni, stati d animo, taccuino 2.0 e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

4 risposte a Tossicità del webjournalism locale

  1. giogg ha detto:

    PS: Negli ultimi giorni sono usciti alcuni articoli sulla discriminazione dei Rom in Italia: “Quanto ci costa discriminare i Rom“, di Alessandro Capriccioli (“Libernazione”, 30 settembre 2014, QUI), “Superare i campi nomadi“, di Riccardo Magi (“il manifesto”, 30 settembre 2014, QUI, qui e qui o qui). La cronaca ci riferisce anche di un (presunto) tentato rapimento di bambini nel torinese a cui molti hanno risposto con violenza: “Sul web c’era già chi voleva venire a bruciarci il campo” (“La Stampa”, 30 settembre 2014, QUI).

  2. VI ha detto:

    Un’altra modalità molto bella è quella di indurti a visitare le loro pagine con frasi fuorvianti o allusive a chissà quali magagne/crimini/efferatezze smascherabili comodamente da casa con un semplice click. Mi riferisco ai “un duro colpo per lui/lei”, “i fan in lacrime”, ma anche “un paese sconvolto”, “fanno fatica a crederci”. Un volta ho cliccato e “facevano fatica a credere” che l’attrice X fosse già così magra dopo un mese dal parto.

  3. giogg ha detto:

    Il post schematico qui sopra nasce da una vicenda vissuta su fb, come si sarà intuito. Questo è quanto accaduto, come l’ho raccontato ad un’amica. Leggerlo può aiutare a comprendere meglio il post e il perché dei link al primo commento.

    L’altro ieri un amico ha postato il link ad un articolo sugli interessi economici intorno ai campi rom (per quelli che li allestiscono, non per i rom naturalmente). Alcuni commentatori si sono impegnati a spingere l’asticella della decenza sempre un po’ più in là, fino a quando – in serata – io ed un’amica abbiamo cominciato a proporre letture diverse con fare leggero. Naturalmente inascoltati. Contemporaneamente, uno dei primi commentatori ha spostato la discussione su un gruppo fb che gestisce (dedicato al “miglioramento” della nostra città) e in cui invita a discutere di questo tema (anzi, “problema”) «sinceramente, senza la paura di essere giudicati».
    Privi di qualsiasi preparazione (l’Opera Nomadi, ad esempio, è ritenuta una voce poco affidabile perché “di parte”), senza alcun interesse a comprendere un’alterità culturale scrollandosi di dosso i pregiudizi (anzi, “giudizi preventivi”, come vengono ipocritamente definite determinate certezze stereotipate) e spesso confondendo i piani tra cittadinanza, migrazione, minoranza etnica e così via, determinati individui hanno progressivamente occupato lo spazio dando sfoggio di palese ignoranza e di esplicito razzismo.
    Il promotore è anche titolare di un webjournal locale, per cui, trincerandosi dietro un peloso “diritto di cronaca” e una viscida “libertà d’espressione”, ha copia/incollato i commenti più infervorati costruendo ad arte una polarizzazione che non esiste: da quanto è stato scritto nel gruppo fb, non c’è “chi è per l’inclusione e chi è per l’espulsione”, c’è solo chi è per il genocidio e chi per la dignità umana. Tutto questo, come dicevo, è diventato un articolo sapientemente postato sui vari socialmedia e condiviso decine di volte, con l’effetto molto concreto ed immediato di generare audience e profitto.
    Il resto è solo una patetica autoassoluzione di un provocatore che ha raggiunto il suo scopo
    .

    Altro post che ho sentito di dover pubblicare, col massimo della visibilità, è il seguente:

    A Sorrento vivono persone dal linguaggio genocidario. Esprimono la loro sconcertante violenza senza che intervenga alcun moderatore, che si tratti del gestore di una pagina fb o di un qualsiasi candidato alla guida di una città votata all’accoglienza. Sappiamo bene, purtroppo, che sul web lo hate-speech è molto frequente, ma questo non significa che non lo si debba arginare. Certi orrori dovrebbero essere rimossi immediatamente, con tanto di scuse verso i lettori e le etnie insultate. Il razzismo non è un’opinione: come sa chiunque sia minimamente alfabetizzato, le parole non sono solo un suono o una sequenza di caratteri grafici, sono un gesto che anticipa un altro gesto.

    A distanza, il sedicente giornalista ribatte con luoghi comuni e banalità, per cui ho aggiunto questo commento al mio post:

    L’autoassoluzione ha sempre un che di patetico. Alcuni affermano che l’insulto, il razzismo, la violenza siano “libertà di espressione”, per cui compiono un salto di campo e si fanno paladini contro la “censura”. Perfetto, vedo che è tutto chiaro. L’iceberg è proprio di fronte.

  4. giogg ha detto:

    Un amico mi ha ricordato una citazione sotto gli occhi di tutti noi, in pieno centro a Sorrento. E’ una di quelle frasi che indicano la strada, che si sia credenti o meno. Ritengo siano parole che – come è stato fatto – debbano essere incise nella pietra.
    Promuovete sempre, in maniera autentica, la causa dell’uomo. Mentre vi sforzate di migliorare e rendere più efficienti i servizi per il tempo libero, non chiudete gli occhi dinanzi ai tanti fratelli vicini e lontani, privi ancora del necessario. E’ forte, infatti, la tentazione di aderire alla “congiura del silenzio”, che, soprattutto nelle località turistiche, cerca di allontanare, o addirittura di rimuovere, il ricordo di chi ha fame, o giace nella miseria, o è senza casa, o è privato dei propri diritti fondamentali
    Giovanni Paolo II ai sorrentini, 19 marzo 1992.

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