«[…] Negli anni ho visto che si può essere antirazzisti, antirazzisti convinti, antirazzisti militanti, e odiare i rom. Negli anni ho visto che si può avere uno spirito internazionista, essere cosmopoliti, andare a fare volontariato nei Balcani, e odiare i rom. Negli anni ho visto che ci si può divertire, commuovere, che si possono amare i film di Emir Kusturica e Tony Gatlif, e odiare i rom. Negli anni ho visto che ci si può battere per la salute dei bambini, essere sostenitori dell’Unicef o di Save the Children, e fottersene dei bambini dei campi nomadi. […]»
Su “minima&moralia” Christian Raimo presenta “Container 158”, un documentario di Stefano Liberti e Enrico Parenti sul più grande campo nomadi d’Europa, quello di Salone, nella periferia romana.
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AGGIORNAMENTO del 30 settembre 2014:
Un amico ha condiviso un articolo su fb (“Quanto ci costa discriminare i Rom“, di Alessandro Capriccioli: “Libernazione”, 30 settembre 2014, QUI) e ne è scaturita una discussione stimolante e deprimente allo stesso tempo: QUI. La cronaca ci riferisce anche di un (presunto) tentato rapimento di bambini nel torinese a cui molti hanno risposto con violenza: “Sul web c’era già chi voleva venire a bruciarci il campo” (“La Stampa”, 30 settembre 2014, QUI). Ma a Roma c’è anche chi si pone l’obiettivo di “Superare i campi nomadi” (“il manifesto”, 30 settembre 2014, QUI e qui e qui).
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AGGIORNAMENTO del 12 gennaio 2015:
Dalle 24.00 del 9 gennaio alle 24.00 del 14 gennaio è possibile vedere gratuitamente “Container 158” in streaming: QUI.
“Libernazione”, 30 settembre 2014, QUI
QUANTO CI COSTA DISCRIMINARE I ROM
di Alessandro Capriccioli
Oggi, se non vi dispiace, vorrei dedicarmi per qualche riga all’aritmetica.
Allora, Riccardo Magi ci spiega che attualmente a Roma ci sono circa ottomila rom, corrispondenti grosso modo a mille famiglie.
Queste ottomila persone sono distribuite in 7 “villaggi attrezzati” (4.200 persone), 8 “campi tollerati” (1.300 persone), 3 “centri di raccolta” (700 persone) e circa 100 “insediamenti informali” (le restanti 1.800 persone).
Ebbene, dovete sapere (e qua potete verificarlo) che nel solo 2013 i villaggi attrezzati (altrimenti detti “villaggi della solidarietà”) sono costati ai cittadini circa 16 milioni di euro, i centri di raccolta altri 6,5 milioni e le azioni di sgombero dai campi tollerati e dagli insediamenti informali un altro milione e mezzo.
Fanno, se l’aritmetica non è un’opinione, 24 milioni di euro tondi tondi. Ripeto: soltanto nel 2013.
Ebbene, 24 milioni diviso mille fa circa 24mila. Il che significa che una politica consistente nel segregare tutte le famiglie rom in condizioni igieniche vergognose e in spazi inadeguati, o sgomberarle dai posti in cui si trovavano per portarle altrove, non è per niente gratis: anzi, è costata ai cittadini romani circa 24mila euro per famiglia.
Con 24mila euro l’anno, tanto per fare il primo esempio che verrebbe in mente a chiunque, si potrebbe pagare l’affitto di una signora casa: una casa probabilmente idonea ad accogliere una famiglia numerosa (otto persone in media), specie in una zona periferica.
A questo punto la domanda è la seguente: per quali oscure ragioni si preferisce spendere i soldi dei cittadini in questo modo, anziché dar corso a una politica dell’inclusione seria? Voglio dire: perché buttare dalla finestra tutti questi soldi per mantenere i rom in condizioni letteralmente disumane (cosa che, ne converrete, non incentiva certo il percorso verso la cosiddetta “integrazione” e la conseguente “normalizzazione del fenomeno”) anziché impiegarli in modo non soltanto più “umano”, ma soprattutto più efficace e razionale?
La risposta è semplicissima: perché la situazione attuale conviene a tutti.
Conviene a chi si aggiudica gli appalti milionari per la gestione dei servizi nei campi e conviene a chi, stante la situazione di perenne “emergenza”, può allegramente continuare a buttare benzina sul fuoco della “sicurezza”, tenendosi così ben stretto il suo patrimonio elettorale.
Ecco, nel mezzo ci sono i rom.
I rom dileggiati, insultati e maledetti, metà dei quali sono perfino cittadini italiani, che semplicemente con la loro esistenza (e con la vita di merda che sono costretti a fare) arricchiscono di denaro e di consenso la destra, il centro e la sinistra.
I rom contro i quali ci si scaglia con rabbia, astio e violenza, quelli che “non vogliono integrarsi” e che “le case prima agli italiani”; mentre la verità è che integrare i rom non conviene a nessuno, e i soldi di questa fantomatica casa che bisognerebbe dare prima agli altri li stiamo già spendendo, impunemente, anno dopo anno: roba che a quest’ora avremmo potuto dargli dei palazzi, a loro e a tutti gli altri.
Ecco, questa è l’aritmetica: questi, come si dice, sono i numeri.
Il resto sono chiacchiere, per quanto drammatiche.
E come tutte le chiacchiere il vento se le porta.
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Dopo un (presunto) tentativo di rapimento di un paio di bambini nel torinese, ecco la reazione della gente contro i rom:
“La Stampa”, 30 settembre 2014, QUI
“SUL WEB C’ERA GIA’ CHI VOLEVA VENIRE A BRUCIARCI IL CAMPO”
L’associazione Idea Rom: oggi certe bugie sono più pericolose che in passato
di Maria Teresa Martinengo
«Poteva trasformarsi in un’altra Continassa: altri raid, altre spedizioni punitive, altre baracche in fiamme. Per quelle falsità irresponsabili delle persone avrebbero potuto rimetterci la vita». Lo dice d’un fiato Vesna Vuletic, presidente di Idea Rom, l’associazione che nel processo per il rogo della Continassa si è costituita parte civile. Allora la bugia era stata pronunciata da una sedicenne: aveva accusato un rom di averla violentata.
Idea Rom è composta principalmente da donne, è nata per combattere il pregiudizio e creare condizioni migliori per le famiglie rom, a partire dalle donne e dai bambini. Integrazione attraverso scuola e lavoro. Ma se da una parte qualche faticoso passo in avanti si fa, dall’altra la crisi riporta indietro, alimenta l’idea del nemico. «Certe affermazioni – spiega Vesna Vuletic – oggi fanno più paura che in passato. Basta andare su Facebook, su certi siti, guardare i commenti alle notizie che riguardano i rom: fanno rabbrividire. Dicono di bruciarci, di usare il napalm, cose irripetibili, spaventose. I rom sono accusati di qualsiasi cosa». Anche dei rapimenti di bambini. «Una leggenda che continua ad essere tramandata, specie in Meridione, con la quale si spaventano i bambini. E si perpetua il pregiudizio».
Rapimenti «leggendari»
Ben prima che ieri sera venisse a galla la verità, nelle associazioni che di rom slavi e romeni si occupano, la storia del rapimento veniva considerata assolutamente incredibile. E sia all’Aizo, Associazione Italiana Zingari Oggi, sia ad Idea Rom, veniva citata la ricerca che qualche anno fa la Fondazione Migrantes aveva affidato al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell’Università di Verona poi pubblicata nel volume «La zingara rapitrice»: le informazioni e i dati raccolti permettono di stabilire con esattezza che fra il 1985 e il 2007 non vi è stato alcun caso accertato di rapimento di minori imputabile a persone appartenenti a un gruppo rom o sinto, e anche di evidenziare come non vi sia stato alcun tentativo di rapimento riconducibile a questi gruppi.
Analisi del Dna
«Con questo pregiudizio nell’aria, basta che in un mercato una donna rom sfiori un bambino perché la gente la accusi. E non c’è famiglia nei campi che non abbia subito il rischio di essere invischiata suo malgrado in qualche storia del genere», dice Vesna Vuletic. «A quasi tutti i rom che sono qui da vecchia data in qualche momento è stata fatta l’analisi del Dna per stabilire se effettivamente i loro figli fossero loro. I controlli nei campi, in generale, hanno sempre avuto un livello molto alto…».
I controlli
E infatti le accuse di Alex Giarrizzo, il padre del bambino al centro della inesistente vicenda del rapimento, hanno immediatamente prodotto, ieri mattina, controlli a tappeto nel campo più vicino a Borgaro, quello di strada dell’Aeroporto. «Noi eravamo al campo come tutte le mattine alle otto, i controlli sono arrivati verso le 11: carabinieri, polizia e vigili hanno frugato ovunque, anche nei bagni», racconta Carla Osella, presidente dell’Associazione italiana zingari oggi che da anni lavora al campo (autorizzato dal Comune) occupandosi dell’accompagnamento a scuola dei bambini, del sostegno alle famiglie, di supporto sociale e sanitario. «La gente ha pensato che le forze dell’ordine fossero andate a fare uno sgombero, come è successo in via Germagnano. Poi, con il programma di smantellamento di lungo Stura, ci sono anche controlli per evitare che le famiglie si spostino da una parte all’altra. Nessuno, ieri, aveva idea di cosa fosse successo a Borgaro. Al campo si parlava solo di un rom ucciso a Roma perché parecchi erano andati al funerale».
Osella, reduce dal congresso Aizo su diritti, lavoro e istruzione: «A nome di chi vive in strada Aeroporto, per quanto parecchi finiscano in carcere per furti, dico che sentirsi accusare di rapire i bambini fa veramente male. È tirare una pietra sempre nello stesso posto. Per fortuna questa volta tutto si è chiarito in fretta».
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Ma a Roma c’è anche chi si pone l’obiettivo di “Superare i campi nomadi“:
“il manifesto”, 30 settembre 2014, QUI
È IL MOMENTO DI SUPERARE I «CAMPI NOMADI»
Emergenza Rom(a). Bisogna imparare da come si affrontano nelle grandi città i problemi abitativi dei baraccati, degli indigenti, al di là della loro etnia, con soluzioni come l’housing sociale e la fine della discriminazione nell’accesso alle case popolari per i cittadini italiani di etnia rom. E accedendo ai fondi europei per progetti mirati all’inclusione, cosa che al momento la Capitale non fa
di Riccardo Magi
8000 cittadini, 1000 famiglie, lo 0,23% della popolazione della Capitale che vive oggi in 7 «villaggi attrezzati» (4.200 presenze) 8 «campi tollerati» (1.300 presenze), 3 «centri di raccolta» (680 presenze), 100 «insediamenti informali» (1.800 presenze). Questi sono i numeri della “questione rom” a Roma.
Sempre più spesso la politica definisce «emergenze» quel che non riesce a governare. L’«emergenza nomadi» ha consentito negli anni scorsi di avere più fondi, di adottare atti in deroga alle leggi, di creare allarme sociale e utilizzarlo in chiave elettorale. Una questione che sconta scelte emergenziali risalenti a inizio anni ’90 e che di recente ha trovato l’accelerazione verso il baratro con il ministro Maroni e il sindaco Alemanno.
Oggi che questa politica adottata da amministrazioni di centrosinistra e di centrodestra è stata dichiarata illegittima dai tribunali, l’Italia ha adottato la Strategia nazionale di inclusione, recependo le linee guida della Commissione europea, che indicano chiaramente l’obiettivo del superamento dei campi rom.
È ora che l’Amministrazione adotti una strategia nuova. Sarà dolorosa per l’indotto (elettorale ed economico) ma grazie alle esperienze in altre città italiane ed europee sappiamo che è possibile. Basta volerlo.
Attualmente non c’è un piano per i «campi formali» né per i «campi informali». C’è il mantenimento e la gestione dei «villaggi attrezzati» creati in passato e dei centri di accoglienza, divenuti luoghi di residenza di fatto, come quello di Via Visso, dove il comune spende milioni per tenere 300 persone in cinque stanze senza finestre. Ci sono poi gli interventi di sgombero che, slegati da ogni misura di inclusione, hanno effetti controproducenti sotto ogni punto di vista.
Permane di fatto un sistema di campi — per durata e indotto — unico in Europa. Nonostante riguardi 1200 famiglie, non 5mila o 10mila! Tutto ciò solo a Roma comporta un impiego di risorse pubbliche pari a 25 milioni di euro (solo nel 2013) con risultati disastrosi di inclusione sociale, lavorativa, abitativa.
L’obiettivo della nuova strategia dovrà essere chiaro sin dall’inizio: la conversione delle risorse impiegate per la gestione dei campi, e dei servizi annessi, in percorsi concreti di carattere abitativo e lavorativo per il superamento e chiusura dei “campi nomadi”. È ora di affrontare questo problema come si affrontano nelle grandi città i problemi abitativi dei baraccati, degli indigenti, al di là della loro etnia, con soluzioni come l’housing sociale e la fine della discriminazione nell’accesso alle case popolari per i cittadini italiani di etnia rom che ora vivono nei campi . E accedendo ai fondi europei per progetti mirati all’inclusione, cosa che al momento la Capitale non fa. Il successo di questa strategia si tradurrà nell’impiego di risorse sempre meno onerose destinate alla «gestione dei rom».
Il contributo che il convegno «Superare i “campi” per soli Rom a Roma: una sfida vicina», organizzato dall’Associazione 21 luglio per mercoledì 1 ottobre presso la sala Rosi dell’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale (viale Manzoni 16) va proprio in questa direzione.
* Consigliere comunale radicale a Roma