Generalmente ci si accorge dell’Africa solo per le tragedie: vi si inviano le troupe televisive e si comincia la conta, nonché l’esibizione dei cadaveri. Quelle immagini ci fanno momentaneamente inorridire, ma – come ha scritto Fergal Keane a proposito del caso rwandese – «non aggiungono niente alla nostra conoscenza e inducono in noi un sentimento che è stato memorabilmente definito “di compassione senza comprensione”» [l’ho citato già altre volte: qui e qui].
La Rai ha appena trasmesso la prima di due puntate di un discusso programma (di intrattenimento, considerati gli inviati) sui campi profughi africani e mediorientali.
Candida Morvillo, che è nel cast, ha scritto un post per spiegare la sua partecipazione a “Mission”: «Mi sono detta che, se per raccontare qualcosa che vale la pena raccontare dovevo mettermi in gioco in una maniera nuova, non mi sarei tirata indietro» [qui].
Trovo che per operazioni inammissibili come questa non ci siano giustificazioni che tengano.
Ho condiviso su fb queste mie perplessità e, sollecitato da un amico che osservava che «un progetto del genere potrebbe sensibilizzare le masse sull’argomento, le quali sicuramente non avrebbero altri strumenti per venire in contatto, in un qualche modo, con questa realtà», ho risposto nel modo seguente:
Purtroppo questa è una speranza vana, l’opinione pubblica non si sensibilizza così, perché questo tipo di sensibilizzazione dura al massimo il tempo di un “sms solidale”. La sensibilizzazione (la presa di coscienza) è un processo lungo, continuativo, regolare, approfondito, faticoso: commuoversi per i casi umani non serve a nulla: non risolve il loro problema e non fa compiere alcun passo avanti alla coscienza dell’osservatore.
A me non va di fare alcuna critica televisiva: un programma del genere è sbagliato in premessa, non nelle sue modalità. Probabilmente qualche milione di italiani ora saprà dove si trova quel determinato campo profughi, quant’è grande e quant’è orrendo. Bene. E poi? E allora? Il quadro d’insieme lo si è colto? Il processo storico lo si è intravisto? Le responsabilità profonde (non solo quelle immediate) le si è intuite?
E per tutto questo chiamiamo Emanuele Filiberto, Albano e Candida Morvillo?
Un programma del genere è solo utile, oltre che al suo cast, agli spettatori, che alla fine – a televisori spenti – si sentiranno ancora una volta (anzi, più di qualsiasi altra volta) rassicurati nella loro distanza da quegli orrori e consolati per aver versato qualche lacrima o per aver donato qualche spicciolo. Una volta di più, cioè, gli oppressi saranno stati utili a (ed utilizzati da) chi è privilegiato.
A me, però, quel che preoccupa davvero è che questa roba ci assuefarà un po’ di più: «davanti ai nostri occhi scorrono in continuazione, sugli schermi televisivi o dei computer, notizie che finiscono per equivalersi e quindi non possono che produrre indifferenza» [Alessandro Dal Lago].
E poi (si, ora concludo, scusa la lunghezza), se si voleva fare tv “umanitaria” si poteva andare a Lampedusa o in qualsiasi altro “lager” italiano dove noi rinchiudiamo quegli stessi profughi che fuggono dagli orrori che mandiamo in onda in prima serata su Rai Uno.
Un altro amico, infine, ha segnalato che su “Repubblica TV” c’è stato un interessante dibattito tra Nino Sergi (presidente di INTERSOS, che partecipa al programma) ed Eugenio Melandri (direttore della rivista “Solidarietà Internazionale” del Cipsi, che invece è contrario a questo tipo di “comunicazione”): QUI (20 min. ca.).
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AGGIORNAMENTO del 7 dicembre 2013:
Il profilo fb dell’Associazione Carta di Roma (da qualche giorno ne è presidente Giovanni Maria Bellu) ha pubblicato due status:
- 16h21: “ieri è apparso un articolo su Linkiesta che chiamava in causa Carta di Roma in merito al programma RAI UNHCR Mission. http://www.linkiesta.it/blogs/cooperazioneinternazionale/con-mission-l-unhcr-straccia-la-carta-di-roma“
- 16h23: “Carta di Roma risponde a LinKiestahttp://www.cartadiroma.org/carta-di-roma-risponde-a-linkiesta“
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