Le “scoperte” di nuovi gruppi umani sono ormai rare, in genere si tratta di comunità molto piccole ed isolate; talvolta sono micro-società conosciute, ma ritrovate dopo decenni in cui si era perso ogni contatto. Non di rado sono dell’entità di qualche famiglia, talvolta ancora più minuscole, fino ad arrivare a singole unità: casi di bambini vissuti (più o meno) da soli nella giungla, allevati dagli animali, atti a rinfrescare periodicamente il mito di Tarzan – o, ma è più raro, di Romolo e Remo – (ad esempio: Tippi, 13 novembre 2008, e Marina Chapman, 22 ottobre 2012).
In questo post raccolgo le notizie di tali “scoperte”, le elenco qui sotto in ordine cronologico decrescente.
«Corriere della Sera», 9 agosto 2013: In Vietnam, dopo 40 anni padre e figlio riemergono dalla giungla, di Marco Del Corona: QUI.
Ho Van Thanh e suo figlio Ho Van Lang sono stati trovati «nella giungla del Vietnam centrale, coperti da fibre vegetali, una capanna su un albero a 6 metri dal suolo, asce e coltelli. Soli, dal 1971: lontani da tutto, soprattutto dalla guerra». Erano già stati trovati una ventina di anni fa, ma si rifiutarono di tornare alla “civiltà”. Ora, invece, ne sono stati costretti, al punto che «Il padre, 82 anni, è stato legato in ospedale: sta bene come il figlio, ma rifiuta cibo e acqua e appare, dice il nipote, “triste. Temiamo voglia scappare”».
AGGIORNAMENTO del 12 luglio 2016: «La Repubblica»: Ho Van Lang, il Tarzan del Vietnam: “Così ho vissuto 40 anni nella giungla”. Il padre lo ha tenuto nella foresta credendo che la guerra in Vietnam non fosse finita. Oggi il 43enne Lang racconta come è sopravvissuto, di Giacomo Talignani: QUI.
«Rivista Studio», 31 gennaio 2013: Siberia anno zero. Storia di una famiglia che ha vissuto 40 anni senza contatti umani, nella profonda Taiga siberiana, e di come, alla fine, la storia li ha raggiunti, di Davide Coppo: QUI.
E’ la storia della famiglia Lykov, «un nucleo di sei persone (padre, madre, due figli e due figlie) che dal 1936 al 1978 ha vissuto isolato in una baita nella profonda taiga siberiana. Quarantadue anni senza mai sentire parlare della Seconda Guerra Mondiale, della Guerra Fredda, dell’avvento lunare, di Kruscev, di Breznev, del Vietnam, del ’68, della bomba atomica». L’isolamento fu dovuto principalmente alla religione: Karp Lykov era un fervente “vecchio credente”, «appartenente ossia a quel gruppo di cristiani ortodossi che scelsero di non adeguarsi alla riforma del Patriarca Nikon nel 1666 rimanendo fedeli a una concezione religiosa che negli anni si rivelò estremamente conservatrice. Furono perseguitati da praticamente tutti gli Zar, soprattutto Pietro il Grande (che li vedeva come ostacolo al tentativo di modernizzare la Russia) e Nicola I. I bolscevichi non furono molto più comprensivi, e fu l’assassinio del fratello a opera dei rivoluzionari comunisti che portò Karp a radunare la famiglia e fuggire nella taiga». Attualmente, della famiglia «Rimane Agafia, ancora oggi viva, ancora oggi in quel pezzo di terra in cui è nata. Non si è spostata, non intende farlo […]. Le autorità badano a lei con cibo, viveri e combustibile».
Il 27 gennaio 2014 “La Repubblica” ha dedicato una galleria fotografica ad Agafia, “La donna eremita riemerge dalla Siberia: da sola per 26 anni“.
«La Repubblica», 25 giugno 2011: Amazzonia, scoperta una nuova tribù, QUI.
«Una tribù isolata é stata scoperta nella riserva di Vale do Javarì, nell’ovest dell’Amazzonia brasiliana. Lo ha annunciato il Funai, l’ente statale di protezione degli indios secondo il quale la comunità sarebbe composta da circa 200 persone appartenenti alla famiglia linguistica Pano, originaria del Perù. Potrebbe trattarsi di un gruppo fuggito per la pressione dei cercatori clandestini d’oro, delle segherie abusive o delle ricerche petrolifere».
Ne ha scritto anche Franco Severo su «Focus» (27 giugno 2011): Fuori dal mondo: scoperta una nuova tribù di indigeni nella foresta amazzonica, QUI.
«Per queste poplazioni i rischi principali derivano dalla caccia di frodo, dal narcotraffico, dall’abbattimento delle foreste per far posto alle fattorie, dall’intervento non coordinato dei missionari».
Naturalmente, non mancano fotografie e video del «National Geographic»:
21 ottobre 2011: La nuova tribù nella foresta amazzonica, di Scott Wallace, QUI. «Un gruppo di viaggiatori si imbatte in una popolazione in Amazzonia non ancora entrata in contatto con la nostra civiltà: il video reso pubblico dalle autorità peruviane».
7 luglio 2011: Chi abita in quelle capanne?, QUI. «La scoperta di alcune abitazioni nel cuore dell’Amazzonia rivela la presenza di una nuova tribù mai entrata in contatto con la civiltà».
3 febbraio 2011: Le ultime foto di una tribù “isolata” dell’Amazzonia, di Sabrina Valle, QUI. «Le immagini aeree di una delle poche popolazioni ancora non contattate di indios brasiliani al confine con il Perù mostrano l’ottimo stato di salute del gruppo. Ma la deforestazione incalza».
«TG1 Rai», 3 gennaio 2011, La lingua degli Argonauti sopravvive in un raro dialetto turco, QUI. «Scoperta una piccola comunità dove si parla il Romeyka, una varietà del greco di Pontus, derivata dalla lingua di Giasone e compagni».
«Corriere della Sera», 30 maggio 2008, Amazzonia, scoperta tribù di uomini rossi. «Sono minacciati da industria mineraria», QUI. «L’agenzia per i diritti indios: “Crimine contro natura”. ‘Survival International’: “Alcuni malanni per loro fatali”». Non so come, ma «si calcola che le tribù che non hanno mai o quasi mai avuto contatti con la civiltà siano un centinaio in tutto il mondo».
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AGGIORNAMENTO del 14 gennaio 2014:
L’agenzia di stampa iraniana IRNA ha diffuso delle immagini di Amoo Hadji, «un eremita in Iran che non fa un bagno da 60 anni. L’uomo vive in modo piuttosto semplice con pochi oggetti: una pipa nella quale fuma escrementi di animali e pacchetti di sigarette (5 alla volta)». L’uomo «vive nel villaggio di Dezhgah nel distretto Dehram della provincia di Fars in Iran, ha 80 anni e gode di una salute di ferro». “La Repubblica” vi ha dedicato una galleria fotografica, 14 gennaio 2014.
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AGGIORNAMENTO del 10 aprile 2014:
“Rivista Studio” riferisce di un “uomo senza memoria” trovato a metà dicembre 2013 in Norvegia «semi-ricoperto dalla neve in una zona periferica e industriale di Oslo […]. Lui non ha nome, non ha nazionalità ma per fortuna nemmeno capi d’accusa a suo carico. Semplicemente, dopo essersi svegliato, non sa chi sia. Parla inglese con un accento est europeo, sostiene di capire lo slovacco, il polacco, il russo, il ceco. […] «Credo di essere ceco», ha poi supposto, «è la lingua che capisco meglio. Ma penso e sogno in inglese». Nel settembre 2011 un ventenne olandese di nome Robyn van Helsum si presentò al municipio di Berlino dicendo di aver vissuto cinque anni nei boschi e di non ricordare la propria identità. Venne chiamato “Forest boy”, ma quando la sua fotografia fu messa online dalla polizia tedesca, il ragazzo venne immediatamente identificato da alcuni amici olandesi, e condannato a 160 ore di servizi sociali per truffa».
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AGGIORNAMENTO del 25 aprile 2014:
Due gallerie fotografiche un po’ ai limiti di questo post, nel senso che non riguardano popolazioni “scoperte” o “riscoperte”, bensì di testimonianze visuali di gruppi in via di estinzione o già estinti. In particolare, si tratta in un caso di popolazioni conosciute, per quanto rare e rade, come quelle dei nomadi dell’Asia centrale e settentrionale, e nell’altro caso di un gruppo scomparso in epoca arcaica di cui, tuttavia, sono rimaste alcune mummie:
- Virginia Della Sala ha selezionato alcune immagini del fotografo olandese Jeroen Toirkens, il quale ha documentato, per più di dieci anni, la vita dei nomadi di Russia, Asia Centrale, Mongolia, Artico. «Ha fotografato ciò che resta delle popolazioni originarie come gli Yoruk della Turchia, i Sami e i Nenets della Russia. Tutte popolazioni autoctone la cui identità sta lentamente scomparendo a causa della globalizzazione e dei cambiamenti climatici e che continuano a vivere delle loro originarie attività come l’allevamento delle renne, la pesca e la caccia. Una testimonianza forte di una sorta di “selezione naturale” che colpisce non tanto l’uomo quanto il suo stile di vita e le sue tradizioni». Galleria fotografica: Scatti di un nomadismo che scompare (25 aprile 2014).
- Il 15 aprile 2014 “La Repubblica” ha pubblicato delle immagini dei resti mummificati di una misteriosa tribù medievale ritrovati in Siberia, a 18 miglia dal Circolo polare artico: «Si tratta di 34 sepolture e undici corpi mummificati portati alla luce dall’archeologo russo Zeleniy Yar. Resta ancora da chiarire chi fossero questi misteriosi personaggi e quale sia la storia di questo villaggio che, dagli artefatti trovati nelle tombe, sembrerebbe essere stato un importante snodo commerciale». Galleria fotografica: Siberia, la misteriosa scoperta della tribù mummificata.
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AGGIORNAMENTO dell’1 agosto 2014:
Il 2 luglio 2014 “Survival International” ha reso noto che è stata individuata una nuova tribù “incontattata”, in fuga dal disboscamento e dai narcotrafficanti dell’Amazzonia peruviana verso la parte brasiliana della regione, e lancia un allarme: «Le malattie esterne costituiscono per loro una minaccia mortale». Come riferisce oggi il “Corriere della Sera”, «erano rimasti isolati dal mondo, completamente. Nessun contatto nè fisico nè visivo. Almeno finora. Un gruppo di indigeni dell’Amazzonia ha preso contatto per prima volta nei giorni scorsi con la tribù dei Ashaninkas, nel nord del Brasile. Gli indigeni, secondo quanto spiegano diversi osservatori, sono fuggiti dal loro territorio, in Perù, a causa degli attacchi dei narcotrafficanti e dei taglialegna abusivi che operano nella regione». (Foto e video sono stati diffusi da “Survival International” il 1° agosto 2014).
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AGGIORNAMENTO del 6 aprile 2017 (da “La Repubblica“):
India, trovata bimba come “Mowgli”: viveva nella foresta con un branco scimmie
Una bimba di otto anni è stata trovata nelle foreste della riserva naturale di Katarniaghat nell’Uttar Pradesh, India. La piccola viveva con un branco di scimmie e quando gli ufficiali l’hanno scorta tra gli arbusti, durante un giro di perlustrazione, non riuscivano a credere ai loro occhi. Ci sono voluti circa due mesi al vice-ispettore Suresh Yadav per convincerla a lasciare la foresta. Oggi la bambina si trova in un ospedale locale. Secondo quanto riferito dai medici, non parla, non comprende alcuna lingua e cammina utilizzando mani e piedi. Di lei non si sa nulla, non ha nemmeno un nome. Per questo, e anche per la somiglianza con la storia, è stata ribattezzata dai media e dagli abitanti locali “Mowgli”, come il noto protagonista del romanzo di Kipling.
AGGIORNAMENTO dell’8 aprile 2017:
Sofia Lincos su “Query” (ma anche altrove, ad esempio su “Il Post“) ha riferito che secondo diverse autorità indiane la storia della bambina ferale, cioè la “piccola Mowgli” vissuta nella foresta dell’Uttar Pradesh e trovata nel gennaio 2017, sarebbe falsa: “molto probabilmente [si tratta di] un’esagerazione giornalistica, almeno per la parte secondo cui avrebbe vissuto tutta la sua vita con le scimmie. La bambina era stata in effetti trovata sola dalle forze dell’ordine della zona: secondo alcune fonti giornalistiche nuda e incapace di camminare se non a quattro zampe, mentre secondo il capo della polizia Sarvajeet Yadav vestita e comunque in grado di camminare eretta. E non è stata scoperta in mezzo alla giungla, magari in compagnia delle sue “scimmie adottive”, bensì lungo una strada che costeggia la riserva naturale di Katarniya Ghat“. Anche i medici sono convinti che non sia stata cresciuta dagli animali, ma che sia stata abbandonata dai genitori perché affetta da disabilità fisiche e mentali, ma non è possibile sapere quando questo sia avvenuto, e quanto tempo abbia passato la bambina da sola; in ogni caso, non anni, bensì forse solo 24 ore. Come aggiunge Lincos, “L’abbandono di minori è purtroppo una pratica ancora diffusa in alcune zone dell’India, soprattutto se di sesso femminile; per diverse famiglie, infatti, le bambine sono viste come un peso, tanto più se affette da problemi fisici o mentali. Ma allora perché un semplice caso di abbandono è diventato subito per la stampa la testimonianza di una piccola “Mowgli”? Forse perché nel nostro immaginario è ben presente la figura dei “bambini inselvatichiti“, che hanno riempito libri e leggende da secoli“.
AGGIORNAMENTO del 20 luglio 2018:
Su “Corriere TV“: “Amazzonia, ecco l’ultimo sopravvissuto di una tribù: è solo da 22 anni. Il raro video. L’uomo, che ha circa 50 anni, vive in un’area protetta dello stato di Rondonia“.
Maggiori informazioni sono fornite da “Il Post“: “Funai, l’agenzia del governo brasiliano che si occupa della salvaguardia delle tribù indigene della Foresta Amazzonica, ha diffuso un video che mostra l’ultimo sopravvissuto di una tribù dell’Amazzonia: un uomo di circa 50 anni che da almeno 22 vive in completa solitudine in un’area protetta nello stato di Rondonia. Secondo gli esperti di Funai, l’uomo vive in solitudine da quando gli altri componenti della sua tribù furono uccisi durante un attacco da parte di agricoltori nel 1995. Da allora dell’uomo non si avevano più informazioni dirette, anche se era stato trovato il posto dove vive e dei piccoli terreni da lui coltivati. Nel video lo si vede in buona salute, mentre cerca di tagliare un albero“.
«Corriere della Sera», 12 settembre 2013, QUI
Il ragazzo ha camminato fino al centro abitato più vicino
RUSSIA, SCOPERTO UN «MOWGLI» SIBERIANO
Apparso a Belokuricha un giovane che ha vissuto per 16 anni nella foresta con i genitori senza incontrare nessun altro
di Francesco Tortora
MILANO – I media russi l’hanno ribattezzato «Il Mowgli della Siberia» perché come il celebre personaggio de “Il libro della giungla” di Rudyard Kipling ha vissuto per tanto tempo nella foresta, lontano dalla civiltà. Un ragazzo, le cui generalità non sono ancora state diffuse, ma che dice di chiamarsi Odzhan, è stato ritrovato dalle autorità dell’ex Unione Sovietica a Belokuricha, cittadina di 14.000 abitanti del territorio dell’Altaj, nel sud-ovest della Siberia. Odzhan ha dichiarato di aver trascorso gli ultimi sedici anni della sua vita nella foresta siberiana assieme ai genitori e di essere stato abbandonato da questi ultimi lo scorso maggio.
PARTENZA – Alle autorità il «ragazzo selvaggio» che parla molto lentamente, ha rivelato di essere nato nel 1993 e di essersi stabilito con i parenti nella foresta quattro anni dopo. Da allora avrebbe abitato in una capanna e qui avrebbe trascorso tutta la sua adolescenza, senza andare mai a scuola. Tuttavia i suoi genitori gli avrebbero fatto da precettori e Odzhan conoscerebbe anche un po’ d’inglese grazie a un dizionario da cui ha imparato i vocaboli. All’inizio dell’estate il ventenne ha deciso di mettersi in cammino verso la città di Belokuricha perché temeva di non riuscire a superare da solo il prossimo gelido inverno siberiano.
RITORNO – Tuttavia dopo essersi presentato alle autorità locali, il ragazzo, le cui condizioni di salute appaiono buone, si sarebbe rimesso in cammino e sarebbe ritornato nel suo rifugio nella foresta. Qui avrebbe ritrovato i genitori e un reporter del Siberian Times è riuscito a intervistarlo: «Noi stiamo bene nella foresta – ha spiegato il ragazzo che ha sottolineato di non voler ritornare in città – Siamo davvero felici. Per sopravvivere vendiamo funghi e i dipinti di mio padre». Alexander, il padre del «ragazzo selvaggio», è certo che l’ambiente in cui vive non lo penalizzerà: «Il fatto che non è andato a scuola non è importante – spiega il genitore al quotidiano siberiano – I nostri programmi scolastici sono nettamente migliori di quelli che si seguono nelle scuole moderne. Sono più lunghi e approfonditi. Inoltre il ragazzo ha imparato anche l’inglese».
BUONA SALUTE – Da parte loro le autorità russe hanno contattato il tribunale locale per ottenere i documenti del giovane e identificarlo: «Sembra una persona normale che gode di buona salute – ha spiegato ai media russi il Procuratore locale Roman Fomin – L’unico particolare che salta all’occhio è il fatto che parla molto lentamente perché negli ultimi anni ha comunicato davvero con poche persone. Ci ha spiegato che temeva di non riuscire a superare l’inverno senza i suoi genitori e che il trasferimento nella foresta da parte dei parenti è stata una scelta consapevole, non dettata da motivazioni religiose”.
L’agenzia di stampa iraniana IRNA ha diffuso delle immagini di Amoo Hadji, «un eremita in Iran che non fa un bagno da 60 anni. L’uomo vive in modo piuttosto semplice con pochi oggetti: una pipa nella quale fuma escrementi di animali e pacchetti di sigarette (5 alla volta)». L’uomo «vive nel villaggio di Dezhgah nel distretto Dehram della provincia di Fars in Iran, ha 80 anni e gode di una salute di ferro».

“La Repubblica” vi ha dedicato una galleria fotografica, 14 gennaio 2014
A proposito della bambina trovata in India e scambiata per una “piccola Mowgli” (aprile 2017, di cui ho riportato un aggiornamento nel post), Sofia Lincos su “Query” aggiunge un paio di bufale che vale la pena ricordare:
“[…] Ma allora perché un semplice caso di abbandono è diventato subito per la stampa la testimonianza di una piccola “Mowgli”? Forse perché nel nostro immaginario è ben presente la figura dei “bambini inselvatichiti“, che hanno riempito libri e leggende da secoli.
Un fascino che spesso ci fa cadere preda di bufale costruite ad hoc: nel 2008, ad esempio, il quotidiano belga Le Soir condusse un’inchiesta sul best seller “Sopravvivere coi lupi“, di Misha Defonseca, una donna ebrea che secondo la sua autobiografia sarebbe stata adottata da una coppia di questi animali, negli anni del secondo conflitto mondiale. Il giornale si accorse di alcuni particolari che non tornavano, e alla fine Misha dovette ammettere di essersi inventata tutto.
Ma non si tratta dell’unica bufala in questo campo. E’ il caso, ad esempio, del bambino-gazzella siriano, che si diceva trovato dall’esercito iracheno negli anni ’50; o quello di Kronstadt, un ragazzino affetto da ipertiroidismo che alla fine del 1700 veniva messo in mostra per denaro; o infine le sorelle Amala e Kamala, trovate nel 1920 vicino a Calcutta, che si presumeva fossero stata allevate dai lupi: gli storici che si sono occupati del caso, però, sono convinti che si trattasse di bambine affette da disabilità, e la loro storia inventata per raccogliere soldi per l’orfanotrofio in cui vivevano.
Le investigazioni sulla trovatella indiana sono ancora in corso, e si sta cercando di identificare chi e quando possa averla abbandonata; ma è possibile che anche la sua storia dovrà presto essere aggiunta all’elenco“.