La baia di Jeranto è l’ultimo sforzo compiuto dalla Penisola Sorrentina per allungarsi fino all’isola di Capri, lì accanto, e poi tentare di andare oltre, ancora oltre, verso un orizzonte che forse è utopia. È uno spazio appartato, inaccessibile se non con fatica e volontà, è sia attracco che punto di fuga. In un mondo in trasformazione accelerata e che ha pressoché abbattuto ogni distanza, Jeranto continua ad essere un luogo “lontano”, un luogo che, in quanto ritirato, permette l’esperienza della pacatezza, del vuoto, del silenzio, della distanza; la lontananza di Jeranto dal fragore e dal sovraffollamento del nostro quotidiano rende quel luogo un rifugio, uno spazio di libertà nella stabilità, la libertà che si realizza nella scelta del restare.
Alla cala di Jeranto il Mediterraneo erompe con profumi inebrianti e colori accesi, con una luce che può abbagliare e un aroma in grado di stordire. L’esperienza è corporea: sudore e calore, muscoli contratti e poi rilassati, capelli scompigliati, occhi socchiusi eppure spalancati. Immergersi nella baia significa diventare leggeri, respirare tra mare e cielo, come se si fosse sia pesce che uccello.
C’è stupore in chi si reca a Jeranto, lo si coglie dagli occhi più larghi, dalle voci più tenui, dai gesti più placidi. Ma qual è la meraviglia che Jeranto infonde? Come riesce ad ammaliare ogni sguardo che vi si posa?
Jeranto non è semplicemente una meta, Jeranto è soprattutto un percorso. Jeranto comincia col sentiero che dal villaggio di Nerano conduce alla baia e che, dunque, può essere considerato un cuscinetto di separazione e di protezione: quel sentiero, in altre parole, è lo spazio e il tempo necessari a raggiungere un altrove. Come se si trattasse di un rito di iniziazione che si rinnova ad ogni andata, esso è uno spazio liminale tra uno stadio e l’altro del nostro essere, è una sorta di fase di sospensione in cui l’approdo è soltanto una promessa a cui credere sulla fiducia; non fornisce, infatti, alcun indizio su ciò a cui si perverrà: il percorso comincia alla base di un alto costone montuoso, prosegue in salita per un po’ e resta a lungo ripido su un mare sconfinato a mezzogiorno. L’insenatura non è mai visibile, il sentiero non rivela anticipazioni e pochi sono gli spunti concessi all’immaginazione, quasi la destinazione non esistesse nemmeno. Eppure, in maniera quasi imprevista, dopo aver superato un piccolo bosco di carrubi, essa invece appare all’improvviso, aprendosi con uno slancio che dà l’illusione del volo.
Lo stupore, tuttavia, è che quando si arriva in vista della baia, Jeranto ha già ampiamente narrato di sé ad ogni passo del tragitto. In maniera quasi subliminale, il sentiero ha prodotto una rottura del tempo perché ha permesso di cambiare il proprio ritmo: il paesaggio attraversato ha mostrato le sue vicissitudini, ma altre ancora se ne possono cogliere ascoltandolo. Le storie del territorio narrano il rapporto che, nel tempo, gli abitanti del posto hanno instaurato con il loro ambiente: che si tratti di fiabe, leggende, cronache, fantasie o sublimazioni, i protagonisti di queste vicende – streghe, janare, sirene, monacielli, spiriti e fantasmi che infestano case, animali mostruosi, alberi magici, unguenti prodigiosi, spicchi di luna e crocicchi notturni – sono sempre espedienti per la spiegazione di specifici fenomeni naturali, stratagemmi per una pedagogia della convivenza collettiva, allegorie dei rapporti di dominio e subalternità, spunti per ribadire princìpi e regole morali. Non c’è confine tra le immagini reali e la realtà immaginata che le storie del territorio illustrano, al centro della loro narrazione c’è sempre la comunità e il suo spazio. Lungo il sentiero per la cala di Jeranto le voci popolari sono innumerevoli e, tutte, offrono sempre un punto di vista interno su quello “scenario culturale” che è il paesaggio.
Jeranto non è un luogo unico, sebbene ogni luogo sia a suo modo irripetibile; anche alcune altre località della Penisola Sorrentina condividono con Jeranto il carattere di “altrove”, ovvero di spazio riconducibile ad una dimensione interiore, quella che si ottiene attraversando un tempo e uno spazio di sospensione. Nondimeno, pochi luoghi come Jeranto custodiscono tante storie e tanto varie, racchiuse in un paesaggio stratificatosi nel corso di alcuni millenni.
Quando la baia si apre in fondo al sentiero, Jeranto smette di essere il regno di figure fantastiche più o meno paurose, ma comunque controllabili; essa diventa tutta d’un tratto una mancanza terribilmente concreta: è una montagna erosa dall’arroganza, lo squarcio di uno scempio che mai potrà essere risanato. Il vuoto della cava calcarea si impone come un monumento alla violazione, Jeranto diventa una lapide con i nomi dei minatori morti sul lavoro, il silenzio che segue un’esplosione [*]. Ciononostante, attualmente Jeranto da cava è tornata ad essere baia e ha assunto un ulteriore carattere, quello dell’orgoglio della resistenza, della capacità di non piegarsi ad un destino di colonizzazione e consumo: non più luogo di estrazione industrializzata, ma nemmeno stabilimento balneare come è accaduto ad altri giacimenti dismessi.
Non ci sono “bei tempi andati” nel paesaggio di Jeranto, quei bei tempi non sono mai esistiti; si trattava, al contrario, di epoche di fatica, di schiavitù, di mortalità infantile, di diritti negati, di subalternità classista e di diseguaglianza di genere. Ma la cadenza asincrona che oggi scandisce il divenire di Jeranto è il tesoro alla portata di chi vi si reca ascoltando le voci del suo paesaggio, le storie – vere o immaginate, non importa: sono tutte vere – di un tempo che, chissà, può aiutarci ad inserire una discontinuità nel fluire famelico del presente e ad elaborare un futuro dal ritmo rinnovato.

Sabato 31 agosto 2013
Ulteriori informazioni sulla visita guidata del 31 agosto 2013 sono sul website del FAI.
La prima edizione di “Sirene & Janare” c’è stata il 15 settembre 2012:

Questo mio testo sul legame tra il paesaggio di Jeranto e le sue leggende è stato ripreso da «Connessioni Letterarie», il blog della casa editrice digitale InKnot: QUI (27 agosto 2013).
E’ stata una giornata molto bella e l’escursione è stata molto partecipata. Uno degli intervenuti ha pubblicato alcune fotografie sulla sua pagina fb (delle immagini molto suggestive, di cui lo ringrazio): QUI.

AGGIORNAMENTO: le foto di un altro amico sono QUI.
«SommariaMente», 4 settembre 2013, QUI (pubblicato da ireneascolese)
‘A IANARA (LA IANARA)
Pe’ ‘e case a fa’ rispietti a ‘e ninni: face accappottà ‘e cònnole, piglia ‘e creature e ‘e mette sott’a cénnera, o ‘e stroppéa… Mò sienti sta storia.
Na vota na ianara ivo a tozzolà a casa ‘e na fémmena prena, che steva cocenànno:
– Mme dai no’ poco ‘e lardo.
– Va’ a zappà! – li risponnivo sta fémmena, e li sbattìvo ‘a porta nfacci.
La ianàra li ittàvo na iastéma:
– Puozzi figlià no criaturo ca no’ cresce cchiù ‘e no parmo!
Quanno sta femmena ascìvo ‘e cunto, figliavo averamente no criaturo brutto e piccirillo. Co’ ‘o tiempo, ‘o figlio manco cresceva e manco s’acconciàva. Ogni sera ‘a ianara, volanno comm’a n’auciello, traséva rind’a càmmera e ‘o stroppiava. ‘A mamma no’ sapeva cchiù a chi santo s’aveva vutà. A quatt’anni sto criaturo era ancora accossì comm’a quanno era nato.
No juorno ‘o ivo a trovà ‘a commare. Mènte traséva sta commare vedivo trasì pe’ a fenesta n’auciello, e li venètte no sospietto. Corrivo ncopp’a càmmera d’ ‘o guaglione e ‘o trovavo dint”a na bottiglia. Risse vicin’a mamma:
– Qua nc’è sotta ‘a mano ‘e na ianara, ca tene mala capa.
Era ‘o mese ‘e Natale. ‘O juorno ‘e festa d’ ‘a Maronna pigliavo no piezzo ‘e caso e ‘o cosivo dint’ ‘a chiéga ‘e na vesta. ‘A viggilia ‘e Natale, doppo ‘a messa cantata, lassavo ca ‘a gente se n’ascéva, nfino a cche dint’ ‘a chiesa romanìvo sulo essa. Si guardavo attuorno e vedìvo na fémmena chi circava ‘e s’annascònne. Era ‘a ianara. Chesta sùbbeto li corrìvo vicino, e li risse:
– No’ dì’ a nisciuno ca so’ na ianara. I’ te prometto ‘e fa’ ‘a commara a ‘o criaturo, quanno s’ ‘a dda cresimà.
‘A ianàra fu ‘e parola: cresimàvo ‘o criaturo, e a chillo juorno chisto crescivo cresci- vo tanto ca addeventàvo ‘o giovane cchiù bello e cchiù forte ‘e tutti l’ati.
La locandina dell’escursione del 2014:
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La locandina dell’escursione di domenica 27 settembre 2015:
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Sul mio profilo fb ho descritto il nuovo appuntamento con le seguenti parole:
Per me è diventato un appuntamento quasi rituale, domenica 27 settembre 2015 ci sarà la quarta edizione di «Sirene & Janare», una visita guidata dal borgo di Nerano alla baia di Jeranto, nel comune di Massa Lubrense, in Penisola Sorrentina.
La particolarità dell’escursione è nel fatto che saremo accompagnati da munacielli, janare, ranavuottoli e altre fantastiche entità, protagoniste di leggende popolari che ho raccolto negli anni, dalla viva voce degli anziani del posto. In tale occasione ripropongo quelle storie attraversando a piedi gli anfratti in cui sono ambientate, con lo scopo di andare oltre il dato materiale e visivo per mostrare un vero e proprio paesaggio folklorico, una visione del mondo che si fa luogo.
L’organizzazione della giornata è a cura del FAI (Fondo Ambiente Italiano) ed è necessaria la prenotazione telefonica (Antonella: 3358410253). Si parte alle 9h30 dalla piazzetta di Nerano [1].
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Ulteriori informazioni:
Per chi voglia prepararsi all’atmosfera, segnalo un mio post di due anni fa in cui esprimevo quanto quell’area sia, per me e non solo per me, carica di suggestione ed emozione [2].
Per chi non conosca il territorio in cui ci inoltreremo, consiglio 4’30” della puntata di «Geo & Geo» andata in onda venerdì scorso, 18 settembre, dedicati proprio alla baia di Jeranto: dal minuto 39 [3].
Per chi, infine, gradisce le novità, annuncio che le storie di streghe e fantasmi saranno interpretate con me da un oratore d’eccezione: Guglielmo Maglio.
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[1] http://www.fondoambiente.it/eventi/Index.aspx?q=speciali-visite-guidate-sirene-janare-2015
[2] https://taccuinoaltrove.wordpress.com/2013/08/22/jeranto/
[3] http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html?day=2015-09-18&ch=3&v=567499&vd=2015-09-18&vc=3#day=2015-09-18&ch=3&v=567499&vd=2015-09-18&vc=3