La professoressa Amalia Signorelli il 25 giugno 2013 è stata ospite della trasmissione televisiva “Ballarò”, dedicata al commento della sentenza del tribunale di Milano che ha condannato Silvio Berlusconi a 7 anni di galera e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per le sue responsabilità nel cosiddetto “caso Ruby” (qui). Nel suo intervento, l’antropologa ha spiegato l’influenza che l’ex Presidente del Consiglio ha avuto sulla “cultura” italiana degli ultimi anni, sdoganando la prostituzione e riproponendo il machismo come modello sociale vincente.
Signorelli segue questo tema da molto tempo. Sul web è disponibile il video di una sua relazione di 41′ pronunciata al convegno «Società, economia, costume», tenutosi a Firenze il 15 ottobre 2010, «per fare il punto sugli effetti del berlusconismo in campo sociale, economico e culturale, oltre che politico». Il titolo dell’intervento è “Le equivoche pari opportunità e il nuovo maschilismo” ed il suo contenuto è disponibile anche in versione scritta: QUI.
Ecco l’incipit:
«La vita sessuale di un anziano libertino con pretese da Ganimede dovrebbe essere, almeno secondo i criteri della privacy, una faccenda che riguarda solo lui e se mai la sua più ristretta cerchia di relazioni. Anche quando si tratta di un uomo pubblico, generalmente, nella tradizione occidentale, riserbo, discrezione, ipocrisia proteggono questo tipo di attività che l’opinione pubblica non vede o trova opportuno fingere di non vedere. Anche nel caso di Berlusconi, nei momenti più caldi del suo sexgate alcuni dei suoi difensori hanno invocato il suo diritto alla privacy. Diritto che personalmente avrei rispettato ben volentieri, essendo il tema in questione un oggetto di riflessione piuttosto deprimente. Ma via via che la storia è andata avanti, mi sono resa conto che non si trattava di vicende private, bensì di una questione pubblica. […]»
(CONTINUA, anche in video)
PS: tutta la trasmissione di “Ballarò” è visibile in streaming: QUI.
Nel 2008, quando Signorelli andò in pensione, si rifiutò di tenere la rituale lectio magistralis. I motivi sono spiegati da lei stessa:
Ai componenti del Consiglio della Facoltà di Sociologia e a tutti gli studenti, docenti e personale non docente della Facoltà di Sociologia dell’Università “Federico II” di Napoli.
Miei cari, il 1 novembre 2008 andrò in pensione e non sarò più membro di questa Facoltà. Cortesemente la Preside, prof. Enrica Amaturo, mi ha invitato a tenere quella lectio magistralis che in questi casi tradizionalmente costituisce la cerimonia di congedo di un docente universitario dalla Facoltà a cui appartiene. Ho declinato l’invito e dunque non terrò la lezione di congedo. Poiché mi addolorerebbe molto se questa mia decisione apparisse come una snobistica mancanza di riguardo verso Voi tutti, vorrei brevemente motivarla con questa lettera. (La quale, sia detto per inciso, vi ruberà meno tempo dell’ascolto di una lezione di 45 minuti!)
Dunque: non desidero tenere la lezione perché sul piano scientifico e didattico mi sento da tempo estranea a questa Facoltà e al sistema universitario italiano attuale; e dubito di poter comunicare, sia per quanto attiene ai contenuti che per quanto attiene al linguaggio, con l’uditorio che eventualmente mi ascolterebbe.
Permettetemi di motivare un’affermazione così drastica.
Come alcuni fra Voi sanno, sono stata sempre fortemente critica verso la Riforma universitaria. E non, come pure si è detto, per misoneismo, ma perché sono profondamente e razionalmente convinta che sia sbagliata. O se è giusta, è giusta rispetto a obbiettivi che io considero sbagliati. Non insisterò sugli aspetti psicopedagogici e didattici. Dopo dieci anni e più, comincia a essere chiaro anche ai loro più tenaci difensori quanto assurdi e controproducenti essi siano stati e continuino ad essere.
Ancor più a me sembra criticabile per la sua ambiguità non innocente l’ipotesi dell’università-azienda, che si autofinanzia. Venuti meno i contributi statali stabiliti per legge (e dunque non decisi di finanziaria in finanziaria dal governo di turno), ora l’università ricava introiti propri solo dalle tasse degli studenti ( e non voglio entrare nel merito dei sistemi adottati per incrementare le iscrizioni); per il resto, non è vero che l’università si autofinanzia e produce reddito: l’università è finanziata da tutte quelle agenzie sociali pubbliche o private che hanno interesse ad acquisire certe sue prestazioni e certi suoi prodotti. Cioè, giustamente essendo un’azienda, l’Università sta e deve stare sul mercato e per il mercato produrre, sia pure un particolare tipo di merci. Per le scienze sociali questo significa appiattirsi su due ambiti dominanti di ricerca e di formazione: la produzione di ingegneri sociali ovvero degli addetti alla gestione del cosiddetto disagio sociale, con messa a punto di competenze per il riconoscimento dei sintomi (diagnosi) e per la riduzione del danno (terapia), e con una sempre minor attenzione per l’analisi delle cause sociali del disagio stesso; l’altra possibilità è, in collaborazione con le scienze della comunicazione, la produzione di produttori di consenso, che acquisiscono competenze sulle tecniche di produzione del consenso stesso, con scarsa o nessuna problematizzazione dei fini per cui il consenso è richiesto, delle materie su cui è richiesto, da chi è richiesto e chi si deve ottenere che lo dia . Nulla di male, queste sono da tempo le attività di vari professionisti, giornalisti e assistenti sociali: ma chi sarà più in grado di fare l’analisi critica dei sistemi sociali e culturali?
Temo nessuno più, anche perché un’altra innovazione introdotta contemporaneamente alla Riforma ostacola profondamente l’acquisizione di capacità critiche da parte dei giovani. Abbiamo tutti imparato dallo strutturalismo che l’opposizione binaria è la struttura elementare del pensiero umano: elementare, appunto. Per fortuna, esistono anche altre e più complesse modalità del pensiero (e del linguaggio) umano: dalla logica algebrica a quella grammaticale e sintattica, per non citare che quelle più comunemente insegnate (un tempo) nelle scuole. Ma l’informatizzazione banalizzante e feticistica dell’insegnamento e dell’apprendimento di qualsiasi disciplina (cosa molto diversa dall’acquisizione di una formazione informatica specialistica) sta a mio avviso riducendo il sapere trasmissibile e trasmesso solo a quello che si lascia costringere entro le logiche binarie: non è tanto il computer che, usato come mezzo, impone il suo messaggio; il problema è piuttosto che l’uso esclusivo di quel mezzo e del suo linguaggio sta determinando una forma mentis elementare generalizzata. La progressiva sostituzione dell’esame orale con i quiz basati sull’opposizione giusto/sbagliato e della lezione ex-catedra con i power-points e simili, mi sembra dimostrino in modo eloquente la perdita di interesse per le capacità di argomentazione e di comprensione dell’argomentazione, sia degli studenti che dei docenti.
Avrei molto ancora da dire. Voglio mettere sul tavolo solo un altro tema: mi sembrerebbe poco corretto tacerlo. Non condivido affatto un asse portante della politica dell’istruzione pubblica che buona parte della “sinistra” italiana ha sostenuto e realizzato negli ultimi decenni: il fatto che invece di puntare sul (difficile, lo so, ma non impossibile) raggiungimento del massimo possibile di uguaglianza delle opportunità e delle dotazioni alla partenza, ha puntato sull’uguaglianza dei risultati attraverso il progressivo abbassamento delle difficoltà di accesso e di passaggio da un livello a quello superiore. Il che, anche qui, non significa che io rimpianga i licei e le università d’élite, classiste e autoritarie, del tempo che fu. Significa che l’eguaglianza nell’ignoranza non mi sembra molto emancipatoria; significa altresì in termini sociopolitici generali, che questa scelta sta consegnando interamente a istanze private la formazione della classe dirigente nazionale. Senza nessuna garanzia su quello che faranno le istanze private.
Tutte queste mie critiche, perplessità, dubbi non hanno trovato occasione di dibattito in Facoltà, pur avendo qualche riscontro a livello nazionale; e io mi sono progressivamente estraniata dalle discussioni e dalle decisioni di indirizzo della Facoltà stessa.
Tuttavia ho voluto essere intellettualmente onesta, almeno verso gli studenti: poteva darsi benissimo che io non avessi capito niente, che la riforma fosse una buona cosa; mi sono messa a studiarla e ho poi scritto un manuale di antropologia culturale per gli studenti post-riforma. Manuale pubblicato da una multinazionale del libro, nota per la grinta con cui sta sul mercato e per le ferree direttive che impartisce agli autori; ma…..avendo la ventura di aver scritto libri non solo tradotti in altri paesi, ma anche adottati in alcune università straniere come libri di testo, mi accade di scoprire che gli studenti di quei paesi apprezzano i miei testi e li studiano volentieri, mentre gli studenti della mia stessa Facoltà li trovano difficili, complessi, incomprensibili; e questo ogni anno di più. Mi chiedo: cosa rende i nostri studenti così… diversamente abili?
La mia generazione ha perso, diceva Giorgio Gaber. Ma considerando che Silvio Berlusconi è mio coetaneo, non posso proprio dire che ha perso la mia generazione. Ho perso io e quelli come me. E sono disponibile, anzi sto già facendo una severa autocritica sul piano della strategia e delle tattiche. Ma i convincimenti di fondo non riesco a modificarli, per quanto ci provi. Non riesco a vedere le ragioni per cui dovrei modificarli. E continuo a pensare che sia mio dovere (e piacere) di docente insegnare agli studenti nozioni e competenze, ma contemporaneamente trasmettere loro gli strumenti della critica intellettuale dell’esistente: che non è mai (e meno che mai adesso) il migliore dei mondi possibili. A chi dire oggi queste cose? A chi dirle in questa Facoltà? A chi dirle nell’Università-azienda?
Ho pensato che questa lettera può avere almeno un ruolo: in tempi di unanimismi e di buonismi conformistici, una posizione di dissenso pubblicamente manifestata e argomentata è forse la sola lezione di qualche utilità che io possa svolgere.
A suo tempo ho scelto di venire a Napoli e di insegnare in questa Facoltà. Sono passati circa trent’anni, durante i quali ho molto lavorato nella didattica, nella ricerca, nella gestione istituzionale; e ho intessuto molti rapporti di molti tipi con molte persone. Voglio scusarmi con coloro che, in varie circostanze, hanno dovuto sopportare il mio “temperamento” certamente poco disponibile alle negoziazioni; voglio ringraziare coloro, molti studenti in primo luogo, il rapporto con i quali mi ha fatto amare il mio lavoro; voglio augurare a tutti, a me stessa per prima, un buon futuro. A ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità.
Amalia Signorelli
Professore ordinario f.r. di Antropologia culturale
Napoli, 13 settembre 2008
Moltissimi apprezzamenti alla professoressa Signorelli sono su facebook, in particolare sulla pagina della trasmissione tv: QUI.
“Valigia Blu”, 5 luglio 2013, QUI
Alfonso Signorini, l’autobiografia del berlusconismo (e del Paese)
Un’analisi di Studio5 e del ruolo della televisione negli ultimi 30 anni di storia d’Italia
di Dino Amenduni
[La trasmissione ha lo scopo di] «dimostrare come Berlusconi e le sue aziende abbiano dato spazio a tanti talenti che poi hanno “fatto” la storia culturale di questo Paese».
Due articoli sul giorno della decadenza di Silvio Berlusconi dal Senato italiano, 27 novembre 2013.
Ieri, in attesa che Berlusconi cominciasse a celebrare in piazza quella sorta di sua danza macabra politica, la diretta streaming del “CorSera” inquadrava le persone assiepate sotto il palco e un giornalista si aggirava tra la folla raccogliendo testimonianze. Ho visto il collegamento per alcuni minuti, il tempo di ascoltare persone di varie regioni italiane e di diverse età, fino alla dichiarazione di un ragazzo di poco più di vent’anni: «Io il futuro lo vedo con Silvio Berlusconi e con Forza Italia».
Per quanto possa sembrare assurda e anacronistica, quella frase rivela che ieri non è finito nulla. Personalmente non so se Berlusconi avrà ancora un ruolo preponderante sulla scena politica italiana, ma so che se il berlusconismo non è cominciato nel 1994 (a mio avviso molto prima, almeno nel 1988 con il “trionfo” del Gabibbo in quanto “giustiziere”), di certo non è finito ieri. E questo perché, come spiega Ederoclite, «Il berlusconismo non è più un fatto in sé, oggi è costume, cultura, rappresentazione mediatica e corporale e – come direbbe qualche collega antropologo – è un vero e proprio sistema di credenze».
L’intero articolo è questo: Tommaso Ederoclite, Berlusconi non è finito, anzi: il bello deve ancora venire, in “Huffington Post Italia”, 27 novembre 2013
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Sempre ieri, Marco Bracconi ha scritto un post di commento alla “decadenza” di Berlusconi dal Senato italiano: “L’extraparlamentare“.
Tra i commenti c’è stato uno scambio tra l’autore e l’utente “jane”, che riproduco qui di seguito:
jane
bracconi dimentica renzi che da fuori dal parlamento anche lui picconerà il sistema ..non é berlusconi o grillo ma sempre per i suoi interessi lo farà
Marco Bracconi
@Jane. Renzi picconerà il Pd non il sistema. Un saluto.
jane
bracconi non ce l’ha fatta a non rispondermi constato. Quindi si é sentito tanto provocato
cosa che non faceva rispetto a Bersani e altri..
Sa, come lei ci ha insegnato non basta cambiare se il cambio é in peggio. E questo vostro, di tanti ( non cito la linea editoriale per non rischiare derive grilline) innamoramento per Renzi farà la differenza si, ma capiremo solo nel medio termine che tipo di differenza. E visto che il suo blog si occupa di populismo ci occuperemo di Renzi, uomo delle poltrone e del picconaggio purché sia. Quindi, venga l’era matteo, prima arriva prima finisce
Marco Bracconi
@Jane. Cara Jane, io capisco cosa la spinge a scrivere ciò che scrive. Lo capisco benissimo, non creda. Ma vede. La mia opinioone è che la politica, la vera politica, in Italia è morta. Esattamente come la società. La logica che mi spinge a dire che Renzi va sostenuto è la stessa logica che guida gli operatori dei Sert quando dicono agli eroinomani di prendere il metadone. Anche il metadone è una droga, e fa male. Ma un po’ meno. Renzi non mi piace particolarmente, ne vedo tutti i difetti ( e anche qualche qualità). Ma è la sola possibilità di preservare oggi in Italia la democrazia rappresentativa. Almeno quella. Saluti.
jane
bracconi, lei me lo conferma ma io lo so già: chi ama renzi é perché si é arreso.
Mi lasci stare da un’altra parte, non concederò mai a Berlusconi l’aver vinto culturalmente, non é radicalismo chic inutile, siamo noi la cultura di questo paese, noi progressisti. Ma sono anche onesta e ribadisco: vada pure Renzi, tanto siamo tutti qui per valutare
Marco Bracconi
@Jane. Io non mi sono arreso. Sono solo realista. A questo punto bisogna pensare a salvare il salvabile. Renzi non è la buona politica. Quella è morta. Renzi è il salvabile. Altrimenti c’è solo Grillo o – peggio ancora – chi sfrutterà il campo arato da Grillo. Saluti
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