Mi è stata segnalata una notizia allarmante: a Massa Lubrense si progettano box auto nello storico e meraviglioso agrumeto “Il Gesù”: «Il 7 maggio [2013] il Comune ha rilasciato il permesso a costruire che autorizza la costruzione di box interrati» [Fabrizio Geremicca, 14 maggio 2013, QUI].
Lo sconforto e la rabbia sono forti per questo ennesimo e spaventoso attacco al territorio e al paesaggio della Penisola Sorrentina, che continua a soffrire di una feroce commistione di interessi economici e politici: «Grafici e progetto sono realizzati dall’architetto Giuseppe Ruocco, che un mese più tardi diventerà assessore all’Ambiente nella giunta Gargiulo».
Ho pensato che a questo punto l’unica soluzione è salire (e restare) sugli alberi, come fece Julia Butterfly Hill, che nel 1997 salì su una sequoia e vi restò per due anni per protestare contro l’abbattimento di una foresta di alberi millenari in California. Che poi è lo stesso orgoglio e la stessa dignità del Barone rampante di Italo Calvino, che non mise mai più piede sulla terra: «Cosimo stava lassù e non si muoveva. Si levò il vento, era libeccio, la vetta dell’albero ondeggiava, noi stavamo pronti. In quella in cielo apparve una mongolfiera». [Tutto il libro in pdf è QUI].
– – –
EDIT, 6 aprile 2014:
“I tifosi del Parcheggio […] sono rinchiusi nel recinto ideologico del fare compulsivo, se ne impipano del “tempo grande scultore”, non hanno tempo da perdere. Anche a costo di contraddire se stessi, visto che molti di loro erano sino a qualche anno fa feroci avversari del progetto. E oggi chiamano parco il parcheggio e raccontano che con un parcheggio si ripopola il centro storico, un parcheggio fecondativo” (Giorgio Todde, Riflessione su come un parcheggio rappresenti un’intera cattiva visione della città, in “Eddyburg”, 6 aprile 2014) (anche tra i commenti).
A proposito di gente che va a vivere sugli alberi, è da ricordare anche la novella “L’arpa d’erba” di Truman Capote (1951), da cui sono stati estrapolati musical e film.
Il trailer della versione cinematografica diretta da Charles Matthau (1995) è questo:
Pingback: Un’intervista sul Fondo del Gesù | il Taccuino dell'Altrove
“I tifosi del Parcheggio […] sono rinchiusi nel recinto ideologico del fare compulsivo, se ne impipano del “tempo grande scultore”, non hanno tempo da perdere. Anche a costo di contraddire se stessi, visto che molti di loro erano sino a qualche anno fa feroci avversari del progetto. E oggi chiamano parco il parcheggio e raccontano che con un parcheggio si ripopola il centro storico, un parcheggio fecondativo” (Giorgio Todde).
“Eddyburg”, 6 aprile 2014, QUI
RIFLESSIONE SU COME UN PARCHEGGIO RAPPRESENTI UN’INTERA CATTIVA VISIONE DELLA CITTA’
Riflessione su come un parcheggio rappresenti un’intera cattiva visione della città
di Giorgio Todde
Da circa una dozzina d’anni incombe anche nel centro storico di Cagliari un progetto di parcheggio interrato sotto le mura del bastione della Santa Croce. Molte critiche, pochi sostenitori. Tra i sostenitori l’attuale Giunta della moderna sinistra ecologica e avanzata. Una grande effusione di cemento nel centro antico della città, un progetto ereditato dalla vecchia Giunta sviluppista che prudentemente lo abbandonò.
I tifosi del Parcheggio dentro la rocca di Castello – in crisi di argomenti come tutti i tifosi – raccontano che questo parcheggio incarna la modernità, che chi si oppone vuole mummificare la città, che la città si modifica di continuo e banalità del genere. I soliti argomenti vuoti. Però dimenticano che il Piano Paesaggistico, oltre che il buon senso, vieta di sventrare un contrafforte sotto le mura antiche di un’acropoli. Dimenticano i princìpi del trasportismo anche se un esperto di trasporti glieli ha ricordati. Dimenticano, soprattutto, il valore di quello che hanno ricevuto dal passato, credono di poterne disporre secondo capriccio e interessi.
Nulla da fare, sono rinchiusi nel recinto ideologico del fare compulsivo, se ne impipano del “tempo grande scultore”, non hanno tempo da perdere. Anche a costo di contraddire se stessi, visto che molti di loro erano sino a qualche anno fa feroci avversari del progetto. E oggi chiamano parco il parcheggio e raccontano che con un parcheggio si ripopola il centro storico, un parcheggio fecondativo.
Eppure ne abbiamo ricevuto lezioni dalla piccola storia recente della città. La distruzione della spiaggia del Poetto annientata in quindici giorni da un’idea di matta modernità, la proliferazione di un intero quartiere di palazzacci a ridosso di Tuvixeddu, soffocata e deturpata da una strada camionabile che la taglia in due, la gigantesca colata di asfalto, svincoli e rotonde e l’eruzione di cemento pianeggiante sulle rive del lungomare (il cemento non è orribile solo in verticale), e molte altre pazzie urbanistiche, non sono servite ad adottare neppure la più elementare prudenza.
L’infelice parcheggio dentro i contrafforti delle mura antiche è un vecchio progetto di fine anni ’90 che nel frattempo ha perso pezzi ed è invecchiato sino ad essere vano e illegittimo.Quello di oggi è ostinatamente uguale al vecchio progetto, salvo che per la cancellazione di tapis roulants e scale mobili da fumetto.
Sorvoliamo sul calcolo bugiardo che prevede di eliminare 700 parcheggi in strada costruendone 300 coperti dove rifugiare le auto sottratte alla strada. La matematica si ribella. Sorvoliamo sulla balla che questo colossale versamento di cemento sotto le mura sarebbe invisibile. Non esiste il cemento invisibile. Sorvoliamo perfino sull’idea tragicomica di chiamare parco il desolante tetto di cemento del parcheggio, pieno di bocche di areazione, senza alberi perché gli alberi si intestardiscono a non crescere sul cemento, senza ombra e con aree gioco di gomma dove i bambini rimbalzano. Roba da prozac. Previste, come nel parco della necropoli di Tuvixeddu, papere a molla e cavalli a dondolo per allietare i bimbi che giocano giulivi tra gli scarichi. Là saltellavano tra le tombe, qua tra gli scarichi. Sorvoliamo sulla panzana di un parcheggio per i residenti perché quel garage serve solo ai nostri baristi-architetti della città alta e si ispira alla filosofia della birretta che regge una certa urbanistica alcolica locale. Sorvoliamo anche sull’espressione “parcheggio di scambio” visto che il codice della strada definisce parcheggio di scambio “un parcheggio situato in prossimità di stazioni o fermate del trasporto pubblico locale o del trasporto ferroviario per agevolare l’intermodalità”. Li chiamano anche Park and Ride, ossia parcheggia e viaggia. Ma l’automobilista che parcheggia sotto le mura farebbe solo un tragitto alcolico sino ai long drink sopra le mura. E sorvoliamo sul fatto inquietante che dall’altro lato del colle di Castello c’è il parcheggio disabitato di Terrapieno (600 posti e 80 auto al giorno, usiamo quello) e il Terrapieno che frana, non certo per colpa di qualche pino segato brutalmente in nome di uno speciale odio indigeno per il verde. Anche qui un desolante terrazzo di cemento.
E dopo tanti sorvoli, a proposito di parcheggio, ricordiamo quello di via Manzoni e il suo allagamento cronico. Sembrava un molo a causa di una falda dispettosa che lo allagava. E questa falda proveniva da lontano, dalla rocca di Castello. Oggi resta il “giardino” che l’ingegnere del Comune definiva un gioiello incastonato nel quartiere di San Benedetto. Quel giardino è uno squallido terrazzo di cemento, vietato agli esseri umani perché non si legge il giornale o si gioca respirando i gas di scappamento. Neppure queste esperienze sono servite, no. L’ingegnere è sempre lo stesso, appassionato, si vede, di “parcheggi gioiello”.
E allora riflettiamo sul sottosuolo del nostro centro storico. Soprattutto su quello problematico di Castello e dei quartieri vicini, poco conosciuto e per questo motivo trattato, per millenni, con rispetto da chi lo abitava. E’ noto che Castello scarica acque sotterranee a valle, verso Villanova e Stampace. Ed è certo che quei tre quartieri, in stretta relazione, presentino aspetti preoccupanti per la stabilità dei suoli e delle case.
Per fortuna esiste il PAI, il piano di assetto idrogeologico, che classifica il rischio di frane e alluvioni e si ispira al benedetto principio di precauzione.Il PAI ci è di aiuto per comprendere quanto folle sia l’idea di tre piani di parcheggio interrato sotto le mura di Santa Croce. Aiuta soprattutto a comprendere come la pericolosità di un sito debba essere considerata non solo in sé ma anche in rapporto alle aree circostanti.
E principalmente stabilisce cosa non fare.
Qui, in allegato, potete scaricare il testo integrale dell’articolo che comprende, oltre al testo riportato sopra, anche un breve memorandum e le norme del PAI.