Immaginate un referendum che introduca la pena di morte oppure che intenda eliminare il diritto di voto alle donne o, ancora, che consenta seggiolini “razziali” sugli autobus. E’ difficile immaginarlo, giusto? Siamo d’accordo che è assurdo anche solo pensare di realizzare consultazioni di questo tipo, spero. Bene, evidentemente perché diamo per assodato che si tratti di «conquiste di civiltà». Ne siamo talmente convinti che nessuno si sognerebbe di dire che, ad esempio, il voto femminile è «concesso» dai maschi o che ad un nero è «concesso» di viaggiare in treno accanto a dei bianchi. Si tratta di diritti umani, non vengono concessi da nessuno: li si ha e basta.
Ciò nonostante, in via del tutto ipotetica, se tali referendum fossero realmente proposti alla popolazione, forse potrebbero emergere risultati sorprendenti. Non è detto, infatti, che per la società nel suo complesso determinati temi siano del tutto acquisiti, soprattutto in momenti altamente emotivi; il classico tema della pena di morte, ad esempio, torna ad affacciarsi sul dibattito pubblico ad ogni efferato delitto, soprattutto quando le vittime sono bambini.
Ebbene, verrà il giorno in cui «concedere» la cittadinanza a chi è nato e cresciuto in un Paese sarà ritenuto semplicemente disgustoso. Nessuno può concedere qualcosa (a maggior ragione un diritto) a chi lo possiede già. Quel diritto (il diritto di appartenere ad una comunità nazionale) lo si acquisisce vivendo stabilmente presso quel determinato gruppo umano: quali che siano le origini del soggetto, vivendo in un Paese (parlandone la lingua, studiandovi, lavorandovi, ma non solo: anche semplicemente “essendoci”) egli, con la sua vita e con la sua particolarità culturale, arricchisce la società in cui si trova, vi apporta elementi di innovazione e freschezza, vi contribuisce a scardinare gli assolutismi sempre in gestazione.
E’ bene sottolineare che la cittadinanza non è un dato naturale, ma è un’invenzione.
Certo, ha una sua utilità nell’organizzazione della quotidiana convivenza collettiva, ad esempio attraverso il funzionamento delle istituzioni e dei servizi, ma, allo stesso tempo, la cittadinanza è uno strumento di esclusione, un diritto che può assumere (e che assume sempre più spesso) le sembianze di un chiavistello che serra al di fuori determinati individui (che vorremmo braccia e non persone: cit.), creando così dei privilegi di tipo classista e razziale.
Affermare che cambiare il modo di acquisizione della cittadinanza italiana da ius sanguinis a ius soli (e ricordo che esistono tante varianti di quest’ultimo principio) può essere fatto «solo attraverso un referendum nel quale si spiegano gli effetti di uno ius soli dalla nascita», è una truffa oltre che una volgarità.
E’ una truffa perché in un momento di crisi economica e di sfiducia sociale, il sentimento di arroccamento a protezione di se stessi si fa più forte e va diffondendosi il sospetto verso l’altro, il non conforme, lo straniero, il non appartenente alla propria cerchia (e la propria cerchia è quella determinata dalla cittadinanza, che dunque in questo caso diventa esplicito strumento di allontanamento, emarginazione, omissione). Proporre un referendum su questo tema, in questo momento storico, dunque, significa condannarlo ad un risultato molto prevedibile. Mentre invece sarebbe proprio questo il momento per proporre e attuare politiche di rottura col passato, politiche di inclusione e di solidarietà: le crisi si vincono con l’apertura, non con la chiusura claustrofobica che le ha determinate.
E’, inoltre, una volgarità perché certi diritti (come, appunto, l’appartenere ad una comunità nazionale) si acquisiscono vivendo in quella specifica collettività e non perché li si chiede in carta bollata o, per di più, perché qualcuno li «concede» dall’alto. Insomma, è dando responsabilità a tutti che si crea un Paese migliore, più ricco, più dinamico, più coeso, più fiducioso. Chi vive in un Paese (per eredità familiare, per scelta, per costrizione, per fuga o per chissà quale altro motivo) deve essere messo in condizione di farne parte fino in fondo, perché di fatto, appunto, ne è parte: è cittadino, a prescindere dai suoi documenti, ecco perché i documenti non dovrebbero far altro che attestarlo ufficialmente.
Beppe Grillo oggi ha scritto il virgolettato che ho citato qui sopra, a cui ha aggiunto che, siccome una decisione verso lo ius soli «può cambiare nel tempo la geografia del Paese», questa scelta «non può essere lasciata a un gruppetto di parlamentari e di politici in campagna elettorale permanente».
Che il tema delle migrazioni sia il punto debole della visione politica grillina (secondo Wu Ming è, più esplicitamente, l’argomento «in cui il discorso grillino si fa più decifrabile e lascia trasparire l’animus fascistoide», qui) ce ne eravamo accorti già ai tempi del suo post “I confini sconsacrati” (2007, ne scrissi anche un post). Oggi ne abbiamo solo ulteriore conferma, ma proprio per questo speriamo che nel M5S cominci ad alzarsi qualche voce di dissenso (e infatti qualcuno, forse, lo fa).
PS: per la cronaca, personaggi come Ignazio La Russa hanno subito lodato le parole di Grillo (qui). Non c’è altro da aggiungere.
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AGGIORNAMENTO (13 ottobre – 23 novembre 2013):
Due parlamentari del M5S hanno presentato una proposta di legge che abolisce il reato di clandestinità. (E’ da notare che nei giorni precedenti c’era stata una ecatombe di migranti al largo di Lampedusa e che in Italia c’era una commozione profonda). Immediatamente, sul suo blog, Beppe Grillo (congiuntamente a Gianroberto Casaleggio) ha scritto un post in cui redarguisce i due “cittadini” e chiarisce la posizione del movimento in merito a tale tema:
«[…] Non siamo d’accordo sia nel metodo che nel merito. Nel metodo perché un portavoce non può arrogarsi una decisione così importante su un problema molto sentito a livello sociale senza consultarsi con nessuno. […] Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico. […] Nel merito questo emendamento è un invito agli emigranti dell’Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l’Italia. Il messaggio che riceveranno sarà da loro interpretato nel modo più semplice “La clandestinità non è più un reato”. Lampedusa è al collasso e l’Italia non sta tanto bene. Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare?».
Il giorno seguente, sul “manifesto”, Alessandro Dal Lago ha commentato con l’articolo “Beppe Grillo fotocopia di Marine Le Pen“:
La sconfessione dei senatori del M5S da parte della ditta Grillo & Casaleggio non ha nulla di sorprendente. Invece, quello che lascia di stucco è l’ingenuità di quelli che pensano che Grillo sia un vendicatore di torti e un difensore dei diritti dei deboli, compresi i poveri migranti. I seguaci che oggi si indignano con il capo ignorano l’assoluta coerenza di Grillo sulla questione. Nel 2007 parlava dei «sacri confini della patria» violati dai Rom. In seguito, si è espresso contro la cittadinanza ai figli dei migranti nati in Italia. Poi, tempo fa, ha detto che «i veri extracomunitari siamo noi». E oggi, ecco la presa di posizione sulla clandestinità. La spiegazione di questo indurimento progressivo, ma lineare, si chiama Marine Le Pen.
Proprio come Grillo non vuole essere confuso con la sinistra, lei non vuole essere chiamata di estrema destra. Per entrambi, l’opposizione all’«invasione» crea rosee prospettive elettorali. Marine Le Pen è in testa nei sondaggi in Francia. E Beppe Grillo sa che il contrasto dell’immigrazione è un tema popolare non solo nell’elettorato del Pdl e della Lega, ma anche in una parte di quello del Pd, per non parlare della massa dei non votanti. Grillo l’ha detto brutalmente ai suoi senatori: «Se avessimo messo l’abolizione del reato di immigrazione nel nostro programma avremmo ottenuto percentuali da prefisso telefonico». D’altronde, su questo tema, la destra ha vinto in Norvegia, come già in Danimarca e Austria. E in Francia la «sinistra» si allinea, al punto tale che il ministro degli interni di Hollande fa di tutto per scavalcare a destra Marine Le Pen.
E così, in Italia, si assiste a un’alleanza, per nulla sorprendente, tra Grillo, Alfano e Bossi. E lo stesso avverrà, probabilmente, sulla questione dell’amnistia. L’attacco di Grillo a Napolitano e la fesseria dell’impeachment sono mosse calcolate per smarcarsi dal «lassismo» di cui avrebbe dato prova il centro-sinistra (un lassismo del tutto immaginario, anche se agitato polemicamente dalla destra, visto che sia il contrasto dell’immigrazione, sia l’infernale degrado del sistema carcerario vanno imputati anche al centro-sinistra).
E intanto le barche affondano. Noi saremo anche anime candide, ma in questo speculare sulle centinaia di morti – come fanno Alfano, Grillo e Bossi – c’è qualcosa di indicibile, per cui non si possono trovare parole adeguate. Quattrocento morti sul tavolo delle prossime elezioni. Ma non solo sono i politicanti a speculare. Giorni fa un conduttore di un famigerato programma radiofonico ha detto che gli annegati conoscevano benissimo i rischi che correvano. Anche i bambini? Anche le partorienti? E i vecchi? E quelli che sarebbero comunque morti di fame in Eritrea, Somalia, Siria, Libia e così via? Tutti consapevoli dei loro rischi e responsabili della loro morte, come vuole l’ignobile ideologia individualistica che ci governa?
Ed ecco che l’unica proposta che sembra mettere d’accordo tutti è intensificare i pattugliamenti. Geniale. Così i disgraziati potranno morire di sete nel deserto, invece che in mare. E già ci immaginiamo i solerti servizi segreti europei negoziare con le bande libiche dei Centri di internamento ben lontani dalle coste, sorvegliate dalle marine di mezzo mondo. E non uno in Europa, dico non uno, che si sforza di immaginare una soluzione diversa dal pattugliamento, dall’internamento, dai fili spinati.
In tutto questo, lo confesso, la presa di posizione di Grillo mi è sembrata una ventata d’aria fresca. Perché finalmente fa chiarezza su un movimento non solo eterodiretto dal comico e dal suo guru, ma anche strutturalmente populista. Questione dell’immigrazione e questione delle carceri sono la cartina di tornasole per stabilire che cosa è il M5S. Non conta più se tanti di sinistra vi aderiscono in buona fede. Perché «ognuno vale uno» solo se è bianco, cittadino e incensurato. Ogni altro vale nulla e non è nessuno.
Segnalo, infine, che il 13 novembre 2013 Alessandro Dal Lago ha pubblicato il pamphlet “Clic. Grillo, Casaleggio e la demagogia elettronica“.
Il “Corriere del Mezzogiorno” lo ha intervistato in merito a tali argomenti, da cui estrapolo la citazione seguente:
«Personalmente rispetto gli elettori e gli attivisti [del M5S], il mio problema non sono loro. In generale è questa ideologia basata sulla rete, unico sistema, totalizzante. Mi fa paura. […] L’idea che uno si possa esprimere solo cliccando (da qui il titolo del libro) è folle».
Il 4 dicembre 2013 Radio Onda d’Urto ha intervistato Alessandro Dal Lago sul suo ultimo libro. Questo è l’audio (16’32”):
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AGGIORNAMENTO del 13 gennaio 2014:
Oggi il M5S ha indetto un referendum tra gli iscritti al 30 giugno 2013 circa il “reato di clandestinità” (la cui abrogazione sarà votata domani in Parlamento). Il risultato è stato (per me) sorprendente: «15.839 hanno votato per la abrogazione [del reato di clandestinità], 9.093 per il mantenimento» (qui), smentendo clamorosamente la linea del “non-leader” e del “guru”, i quali il 10 ottobre 2013 scrissero: «[…] Nel merito questo emendamento [sull’abolizione del reato di clandestinità presentato da due eletti del M5S] è un invito agli emigranti dell’Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l’Italia. Il messaggio che riceveranno sarà da loro interpretato nel modo più semplice “La clandestinità non è più un reato”. Lampedusa è al collasso e l’Italia non sta tanto bene. Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare?» (qui).
Il referendum di oggi, indetto all’ultimo istante, ha fatto risentire alcuni sostenitori, come il senatore grillino Francesco Campanella, che su FB ha scritto: «[…] Il blog gestito così diventa un’arma nelle mani di qualcuno che si è convinto di poter gestire più di 150 parlamentari con strategie di organizzazione di rete aziendale. Togliamo quella pistola a Casaleggio! Il M5S è un fenomeno troppo serio per essere gestito in questo modo!». (In merito, segnalo anche un post di Alessandro Capriccioli: Questa sì, che è democrazia, e un articolo di Philippe Ridet: Un duro colpo per Grillo).
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AGGIORNAMENTO del 16 febbraio 2014:
“L’Unità” ha pubblicato un estratto del pamphlet di Alessandro Dal Lago “Clic”. Ne cito un passaggio: «Il populismo non può essere che nazionalista, perché la nazione – entità ovviamente immaginaria, esattamente come il “popolo” con cui finisce per coincidere – è il crogiolo più ampio in cui trovano spazio sia le istanze sociali, sia quelle patriottiche, e quindi l’avversione per i nemici interni ed esterni. […] Si tratta … di stabilire i confini della nazione (e del popolo che la riempie), attraverso i meccanismi più sperimentati di inclusione ed esclusione. […] Si assiste, dunque, […] all’opposizione binaria, spoliticizzata e assoluta tra “noi” e “loro”. Binaria com’è quella tra guardie e ladri, giudici e criminali, onesti e corrotti, “popolo” e “casta”, cittadini e alieni».
«[…] Il punto è invece che tutto questo gran clamore attorno allo ius soli rischia di spostare l’attenzione da quello che è il vero problema. L’incapacità degli italiani a pensarsi ‘diversi’. Scrive Grillo sul suo blog che lo ius soli è “una decisione che può cambiare nel tempo la geografia del Paese”. Ma caro signor Grillo non vede che questa geografia è già cambiata, con buona pace dello ius soli? […]»
Marco Antonsich, Lo ius soli e l’incapacità degli italiani a pensarsi “diversi”, «CorSera», 17 maggio 2013
“Huffington Post Italia”, 28 giugno 2013, QUI
Ius soli: la legge del Movimento 5 stelle. Ma Beppe Grillo voleva un referendum (DOCUMENTO)
di Pietro Salvatori
Che fine ha fatto la democrazia diretta? Gli elettori del Movimento 5 stelle si possono accontentare di decidere unicamente se sbattere fuori un parlamentare dal proprio gruppo quale forma di coinvolgimento in prima persona (per tacer del fatto che su Adele Gambaro hanno potuto esprimersi solo gli attivisti iscritti al blog al 31 dicembre dell’anno scorso)? Nonostante le prove tecniche della piattaforma informatica per far provenire le proposte di legge dal basso, il mito della disintermediazione dei processi decisionali sta subendo scossoni sempre più forti. Prima il sostanziale abbandono delle dirette streaming, inizialmente promesse per qualunque riunione interna e con gli altri partiti, poi la mancanza di consultazioni sui progetti di legge. Infine il referendum online proposto dai consiglieri comunali romani sull’ingresso nella giunta di Ignazio Marino, stroncato proprio dal leader.
Ultimo esempio del cortocircuito Grillo-parlamentari-elettori lo si è avuto sul tema dello ius soli. Le prime avvisaglie all’inizio dell’anno scorso: “La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso“. Qualche giorno dopo, un articolo di Giovanni Sartori veniva ripreso sul blog: “Che senso ha, allora, trasformare automaticamente in cittadini tutti coloro che nascono in Italia, oppure, dopo qualche anno, chi risiede in Italia?“, si domandava il politologo. Poco più di un mese fa la sentenza definitiva: “Chi vuole al compimento del 18simo anno di età può decidere di diventare cittadino italiano. Questa regola può naturalmente essere cambiata, ma solo attraverso un referendum“. Insomma, le posizioni di Beppe Grillo sullo ius soli sono sempre state alquanto scettiche e il leader ha demandato ai cittadini, e non “a un gruppetto di parlamentari e di politici in campagna elettorale permanente” la decisione definitiva in termini di acquisizione di cittadinanza.
Argomento chiuso? Affatto, perché i deputati stellati hanno depositato qualche giorno fa un progetto di legge, in barba alla volontà più volte ribadita dal proprio capo politico e, soprattutto, scavalcando qualsivoglia consultazione popolare, sia online sia cartacea.
Eppure, proprio a seguito dell’ultimo post sopra citato, scoppiò una polemica che coinvolse Alessandro Di Battista. Il deputato grillino disse a un giornalista di essere favorevole allo ius soli, poi lo accusò di averlo ingannato, lo denunciò al servizio di sicurezza della Camera, e infine ritornò sui suoi passi: “Sono d’accordo con Beppe“.
Una consequenzialità di fatti che avrebbe dovuto portare a demandare la scelta al corpo elettorale, almeno ad una consultazione tramite la rete. Nulla di tutto ciò, perché nel frattempo è arrivato il testo di una legge, firmato dagli onorevoli Giorgio Sorial e Fabiana Dadone dopo un confronto interno durato settimane e contatti con esponenti sia di Sel che del Pd.
– – – [Leggi il testo della proposta di legge in fondo all’articolo] – – –
In sintesi, quel che propongono i parlamentari stellati è una sorta di ‘ius soli temperato’. Sì al superamento dello ius sanguinis, perché “concepisce la nazionalità alla stregua di un gene che si trasmette per via ereditaria e non per partecipazione quotidiana ad una società“, ma il passaporto verrebbe consegnato ai figli di cittadini stranieri a patto che i genitori rispettino alcuni requisiti.
Nella fattispecie, si renderebbe “possibile l’acquisto della cittadinanza italiana a chi nasce in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno vi risieda legalmente da non meno di tre anni o da genitori stranieri di cui almeno uno sia nato in Italia e vi risieda legalmente da non meno di un anno“. Un modo questo per evitare le critiche di chi, nei giorni scorsi, sosteneva che con lo ius soli l’Italia sarebbe diventato un grande parco neonatale, dove venire a far nascere i propri figli senza avere l’intenzione di stabilirsi entro i suoi confini, ma all’unico scopo di regalargli una cittadinanza differente da quella di provenienza.
Oltre allo ius soli, il pdl dei deputati stellati introduce anche il concetto dello ius culturae. Vale a dire “un riconoscimento dell’impegno scolastico dei minori nati o entrati in Italia volto all’acquisizione della cittadinanza attraverso la dimostrazione dell’integrazione per meriti scolastici“. Così ai bambini per richiedere la cittadinanza basterà aver finito la quinta elementare, agli adolescenti superato la maturità e via discorrendo.
Sorial e Dadone ritengono lo ius soli “misura di integrazione positiva, idonea a produrre inclusione sociale, e il riconoscimento del percorso di radicamento avviato nel nostro territorio dalle persone di origine straniera che vi sono nate, stabilmente vi abitano e intendono, con pari diritti e doveri, partecipare alla vita culturale e socio-politica del nostro paese“.
Che ne dirà Grillo, che solo il 22 maggio scorso lo definiva un “fumo negli occhi” da parte del governo, essendo questa misura “inesistente in Europa“? Forse nulla, perché in fondo il leader si sta dimostrando allergico alle prove di democrazia diretta, come testimonia la già citata stroncatura del sondaggio di Roma. E pensare che era solo domenica scorsa quando Gianroberto Casaleggio discettava di democrazia diretta, e riteneva la modifica più urgente da apportare alla Costituzione l’introduzione del “referendum propositivo senza quorum”.
Il documento dei deputati è in fondo a QUESTO articolo.
Grazia Naletto, Il razzismo e noi, in “Cronache di ordinario razzismo”, 10 maggio 2013, QUI
«[…] Sui concetti di identità, di cultura e di cittadinanza così come proposti da Allam (una sorta di monoliti inossidabili definiti una volta per tutte e considerati impermeabili ai mutamenti storici, politici e sociali) ci sarebbe molto da commentare, ma non è questo su cui qui voglio soffermarmi.
E’ invece ormai indispensabile qualche considerazione di contesto sul rigurgito di razzismo che si è scatenato in occasione della nomina della nuova ministra.
[…] il rinvio a uno “ius culturae”, neologismo coniato dall’ex Ministro dell’Integrazione Riccardi e purtroppo adottato anche dal Presidente del Senato, privo di qualsiasi fondamento giuridico, o a uno “ius soli temperato”, preferito da Fini ma sempre più richiamato da vari esponenti del PD nelle ultime ore, non è un espediente indispensabile per consentire l’approvazione di una riforma attesa da ormai 20 anni e sulla quale, secondo gli ultimi sondaggi, sono d’accordo 8 italiani su 10. E’ semmai la cartina tornasole di quel sottofondo di “diffidenza e sospetto” che caratterizza ancora oggi larga parte del ceto politico quando si confronta con la presenza dei migranti nel nostro paese, partito democratico compreso. Ragion per cui la “cautela”, la “prudenza” e via dicendo “sono sempre d’obbligo” quando la politica si occupa dei migranti.
[E’ necessario portare avanti] un sistematico e capillare lavoro culturale (sul web, nelle scuole, nelle università, nei centri giovanili, nelle parrocchie, nelle case del popolo rimaste, nei comitati di quartiere, nelle fabbriche ecc, ecc.) per elaborare una “pedagogia antirazzista di massa” (il concetto non è mio ma è mutuato rovesciato da Annamaria Rivera “Regole e roghi, Edizioni Dedalo, 2009).
[…] Come non detto, la situazione è ancora peggiore di quella sopra descritta. E’ di qualche minuto fa il post pubblicato da Grillo nel suo blog […]. Grillo evidentemente non sa che è stata già promossa una legge di iniziativa popolare su questo tema l’anno scorso sulla quale sono state raccolte più di 100.000 firme. L’utilizzo dello strumento referendario su materie delicate e complesse come queste a noi sembra assolutamente inappropriato. […]»
Saverio Tommasi, 18 agosto 2013: Se Grillo non sa parlare non è colpa mia (in risposta al suo post di oggi)
http://www.saveriotommasi.it/blog/articolo.php?id=937
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