Non so quali requisiti specifici abbia Milena Gabanelli per essere candidata alla Presidenza della Repubblica. Non ho motivo di sospettare della sua onestà, ma l’onestà civile e la rettitudine professionale non sono qualità esclusive e titoli sufficienti per una carica come quella in gioco. Sono essenziali, certo, ma è necessario anche dell’altro. Il suo mi sembra un nome splendido, ma la sua candidatura mi appare inverosimile: troppo forte è il sospetto del poi, nel caso non dovesse essere eletta: “avete visto? votano sempre per i soliti, la kasta vota sempre per se stessa” (chi, cosa, quando? mah, tra pochi giorni sapremo). Comunque sia – e nonostante ciò -, sono disposto a sostenerla, perché alcuni grillini mi hanno insegnato una cosa (ripeto: alcuni grillini, e sono molto pochi), ovvero immaginare il mondo (anzi, l’Italia) da una prospettiva ignota, inedita, impensata e impensabile. E’ un ottimo esercizio di relativizzazione delle convinzioni, ossia di democrazia, quello di sovvertire le certezze e il “buon senso”. Dunque sono disposto a raccogliere la sfida: sosteniamo l’incredibile.
Si tenga presente, però, che dal giorno delle ultime elezioni nazionali (25 febbraio 2013) non è accaduto nulla di tutto ciò: la rivoluzione prospettica non si è tramutata in alcun “sovvertimento” fattivo delle istituzioni sociali e politiche, i grillini hanno avuto uno straordinario risultato elettorale – è opinione diffusa che abbiano compiuto un “terremoto” -, ma ancora non sono stati in grado di incidere concretamente nella struttura politico-amministrativa italiana, né sono stati finora all’altezza di soluzioni credibili. E tutto ciò non per colpa del Babau, ma innanzitutto per il loro ostracismo cocciuto (sospettosamente imposto dall’alto), grazie al quale i veri responsabili del degrado italiano continuano a sguazzare indisturbati nei luoghi-chiave della nostra società. Pertanto, l’immaginazione al potere – se posso scomodare una formula storica e ideale -, al momento è e resta solo una mera potenzialità. L’idea di ribaltare la forma mentis, tuttavia, mi piace e le voglio concedere una chance. Forse è naif, ma probabilmente i cambiamenti passano proprio per una piccola porta come questa.
Bene, detto ciò, e perché la candidatura di Gabanelli non appaia un’imposizione o un ricatto, vorrei capire quali siano i meriti e i valori che costei incarna e quali le garanzie che ella può offrire (a proposito: ma ha accettato? lei è d’accordo? o stiamo parlando d’aria fritta?) [aggiornamento: lei sembra piuttosto scettica].
Personalmente sognerei come 12° Presidente della Repubblica Italiana l’on. Emma Bonino, che con la sua vita (è umana, quindi con pregi e difetti) ha dimostrato di lottare per costruire un Paese laico e consapevole, di adoperarsi per accrescere una parità di genere che non facesse leva su concessioni maschili, di impegnarsi per alimentare un dialogo con le altre culture e società, di rifarsi sempre alla Carta che, in un modo o nell’altro, ci tiene insieme (e che, soprattutto, ci tiene distanti dalle derive politiche novecentesche più drammatiche). Se questo non vale nulla, ok, votiamo una telegiornalista. Ma prima, per favore, spiegatemi perché. Grazie.
PS: piccola postilla con due condizioni imprescindibili, almeno per me:
1) trovo che sia assolutamente necessario esplicitare tutti i dati relativi alle cosiddette “quirinarie” (tale richiesta dovrebbe provenire innanzitutto da Gabanelli), le quali – dal niente che se ne sa – hanno tutta l’aria di essere state una considerevole presa per i fondelli;
2) ritengo che ora la campagna elettorale sia definitivamente da archiviare (vi prego!), per cui chiederei gentilmente al sig. Grillo di smettere di eterodirigere i parlamentari del M5S e di lasciarli autonomi nelle loro scelte, che gli piacciano o meno (sempreché non intenda seriamente assumersi una responsabilità istituzionale: uno vale uno, dunque mò faccia parlare gli altri).
“Politica Pop”, 16 aprile 2013, QUI
MILENA FOR DUMMIES
di Marco Bracconi
Milena Gabanelli è una signora giornalista. Ha una bella faccia, fa cose serie, si espone in prima persona. E’ una tipa dalla schiena dritta. Ne avessimo, di Gabanelli in giro per l’Italia.
Detto cio’, un movimento radicale di cambiamento che sia consapevole di sè e della complessità delle cose istituzionali non la candiderebbe mai alla presidenza della Repubblica. Si muoverebbe per metterla alla guida di una rete Rai. O per farla direttore generale del servizio pubblico.
Se decide di votarla per il Colle le spiegazioni possibili sono solo due.
La prima è un cinico (ma ormai scoperto) calcolo politico. Il sogno proibito dei Cinque Stelle è un accordo di governo tra Pdl e Pd, così da poter gridare all’inciucio e specularci bellamente sopra? Allora meglio buttare via la possibilità di influire sulla elezione del capo dello Stato, chiamarsi fuori come sempre e ribadire il teorema noi/loro, che è la miniera d’oro di Grillo e Casaleggio.
La seconda è puro e semplice smarrimento del senso della realtà. Quello di chi, in attesa della rivoluzione (il 100 per cento del Parlamento, del Paese, del pianeta terra e della Via lattea) si rifugia dietro ad una scelta identitaria, sterilmente simbolica e totalmente autoreferenziale.
Probabilmente, sono entrambe le cose. La massima inutilità politica unita al più totale cinismo.
“Globalist”, 16 aprile 2013, QUI
TRISTE IL PAESE CHE CONOSCE SOLO EROI TELEVISIVI
I grillini scelgono la Gabanelli come candidata al Quirinale. Brutto segno. Possibile mai che si conoscano solo i personaggi televisivi?
di Antonio Cipriani
Ormai siamo costretti a discutere di politica con persone che la politica che conoscono è quella che hanno visto in Tv. Hanno una cultura tutto sommato berlusconiana, perché a lui dobbiamo questa svolta mediatica. Questo eccesso di comunicazione da piccolo schermo che prevede l’abbandono della vita reale e, conseguentemente, della partecipazione reale. Quindi della politica vera, della strada, dei quartieri, dei luoghi dove si forma la coscienza politica e dove origina la possibilità di rappresentare quella coscienza.
Gli elettori di Grillo scelgono la Gabanelli come candidata al Quirinale perché vivono di sogni e di slogan. Preferiscono i personaggi televisivi. E questo è preoccupante. A destra Porta a Porta, a sinistra Santoro e Report. Arena mediatica e telecomando come strumenti fondamentali per il cambiamento. Anche contestandoli, anche disertando la tv. Ma la cultura prevalente è quella: eroismi mediatici, slogan, fuffa. Hanno optato per la spettacolarizzazione della politica. Con tutto il rispetto per il format Report che è interessante e che è alimentato dalle inchieste di bravi giornalisti…
Mi aspetto il “no, grazie” della Gabanelli che è persona seria. Ma sa perfettamente che non è scegliendo un personaggio televisivo, sebbene bravo, che si risolve la questione. Non è una strada utile per uscire dalla palude in cui viviamo. Fatta di crisi vera, di uomini e donne che perdono lavoro, di rabbia che cresce e di prospettive zero, a paralizzare ogni ipotesi di futuro. Crisi punteggiata dai bizantinismi dei partiti. Del Pd lacerato al proprio interno. Del Pdl padronale che ha a cuore la sorte di Berlusconi. Di Grillo e i suoi che fanno del paradosso e della provocazione il grimaldello per spalancare il sistema: ma dietro il grimaldello? L’opacità di un pensiero politico che non intende dare risposte. Almeno fino al crollo totale del sistema e alla conquista della maggioranza assoluta. Roba da brividi.
Per questo il gioco sinistro dell’arena mediatica mi indigna. Come l’eccesso dell’uso del mezzo televisivo per costruire mostri o abbattere mostri. Perché l’eccesso crea soltanto soluzioni schematiche, approssimative ed eclatanti, quando invece servirebbe la politica. Fatta da persone per bene che non facciano solo urla. Che lavorino per il bene comune e non per la costruzione di slogan efficaci. Che siano la vera rivoluzione della politica, perché preparati e poco mediatici, perché capaci e non legati al ruolo come forma inamovibile di potere. Quella che un tempo veniva definita società civile è ricca di grandi personaggi per bene. Meno noti di Santoro, di Maria De Filippi, sicuramente più bravi, più preparati.
La rivoluzione è una cosa seria. Dura, tenace, profonda, ma per bene. Non legata agli schemi berlusconiani, all’immaginario approssimativo, in mano a perfetti ignoranti, capaci con la loro pochezza di dimostrare che un altro mondo non è possibile. Non può essere un fatto di marketing, ma di coscienze civili. Quindi, per cortesia, smettiamola di ruotare intorno all’oligarchia dei salottini televisivi e degli eroismi da piccolo schermo. Basta Grillo, Saviano, Travaglio, Santoro. Basta surrogati mediatici.
E mentre lo scrivo penso che non sia più possibile e che ha ragione il mio amico senese che mi dice sempre: con questo sistema uno come Gramsci non faceva neanche il segretario di una sezione. Ecco. Tristemente gli do ragione. Ma non mi arrendo all’evidenza del potere culturale di Silvio.