In “Un grande paese” Luca Sofri scrive questa pagina:
Il confronto delle idee e delle riflessioni è il primo meccanismo di costruzione del sapere e di un’opinione informata sulle cose. Che a loro volta sono ciò su cui si costruisce una società migliore: capire le cose, capire cosa è giusto, di volta in volta, e fare scelte sagge e informate. Ci sono le cose giuste e le cose sbagliate, e bisogna fare quelle giuste. Lo si ottiene solo studiando, accettando lezioni, prendendo ogni informazione come un insegnamento e un pezzo in più del proprio tesoro di conoscenze (anche quando la si scarta o accantona). Questo ci attribuisce una doppia responsabilità, corrispondente al doppio dovere che abbiamo nella vita, il miglioramento di noi stessi e del mondo. La rispiego all’indietro, scusate: il mondo si migliora migliorando noi stessi e gli altri e rendendoci disponibili a essere migliorati da noi stessi e dagli altri. La prima cosa si ottiene diffondendo e offrendo agli altri le cose che sappiamo e che abbiamo capito, in particolare su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e sugli strumenti per capirlo. Impartendo lezioni. La seconda cosa si ottiene simmetricamente accettando lezioni. È un circolo virtuoso, sempre più frequentemente interrotto dagli atteggiamenti di cui abbiamo detto. E che riguarda in modo uguale – anche il loro rapporto crea un circolo virtuoso o vizioso – la società e noialtri persone da una parte, e la politica dall’altra.
Mi pare che siano due i principali ostacoli alla ricostruzione di questo circolo virtuoso. Uno è quello psicologico di cui ho parlato e che sta dietro alle accuse di snobismo, presunzione di superiorità morale, supponenza, distanza dal «paese reale» che bollano chi provi a migliorarlo, il paese reale, a cominciare da se stesso: come si permette? Chi si crede di essere? Ancora di più se non ha una posizione di potere riconosciuto che lo risparmi dalle suddette domande (siamo conformisti: in competizione con i nostri pari, e discreti con i nostri superiori). L’altro ostacolo è un’intolleranza linguistica. Una riprovazione sociale per alcune parole, che ci acceca sul loro reale significato e valore. Non sopportiamo «lezioni». Non sopportiamo che qualcuno ci «insegni» delle cose. Nessuno si permetta di «educarci», malgrado educare significhi letteralmente «condurre fuori, quindi liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto». Se qualcuno mi educa vuol dire che sono maleducato, pensiamo. Se qualcuno mi insegna, vuol dire che sono ignorante. Se qualcuno mi spiega, vuol dire che non ho capito. Sono un imbecille. E la mia insicurezza – che mi suggerisce che lo sia davvero – me lo rende ulteriormente insopportabile. E così rifiutiamo la pedagogia e l’educazione – per il loro suono infantilizzante ai nostri orecchi ignoranti e per il «crinale cagone» – e consentiamo un istupidimento generale, e una rivendicazione dell’ignoranza. Uno spesso strato di insicurezza ci si è incollato intorno e ci fa reagire a ogni cosa col timore dell’effetto che farà sulla nostra immagine agli occhi degli altri. Ogni volta che qualcuno ci riempie il bicchiere ci affrettiamo a cercare giustificazioni per il fatto che fosse vuoto. Viviamo ogni umana mancanza come un pubblico fallimento. Siamo preoccupatissimi dell’effetto che facciamo, e troppo insicuri per far diventare quest’ansia uno stimolo piuttosto che un incentivo alla fuga.
«La nostra capacità di educare si esperimenta realisticamente in noi stessi: educando noi, avremo educato gli altri». (Piero Gobetti, La Rivoluzione Liberale)
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Oggi Luca Sofri ha utilizzato queste parole in un suo post che prende spunto da un’intervista rilasciata stamattina da Elio ad un giornalista di “Repubblica”. Nella conversazione, il cantante dice – tra l’altro – che «il pubblico va guidato, indirizzato»; e questa frase ha fatto storcere il naso ad un po’ di internauti.
Io ho letto le parole di Sofri con la testa alle elezioni che terremo tra una settimana, pensando soprattutto ai tifosi (si, tifosi) di alcuni partiti. Ce ne sono alcuni con cui è difficilissimo instaurare qualsiasi forma di dialogo senza subire una ritorsione aggressiva: loro, la verità, già ce l’hanno e non è in discussione; loro, la democrazia, sanno cos’è, la praticano: cliccano “like” sul blog del loro capo. Ma già solo dire questo significa farsi sommergere di “vaff”.
A questa filosofia del potere io non credo. A questa concezione di una libertà a senso unico io mi sottraggo. Se rivoluzione dev’esserci (e il nostro Paese, in effetti, ne avrebbe bisogno), allora il processo di rinnovamento deve iniziare da noi stessi, alimentandolo con l’umiltà e il confronto, magari ricevendo delle lezioni da chi ne sa di più. Perché senza la predisposizione all’ascolto, la rivoluzione semplicemente non è.
Auguri al nostro grande Paese.
Il post di Luca Sofri è a QUESTO indirizzo.
EDUCARE LE MASSE
When you’re scientifically literate, the world looks different. Science provides a particular way of questioning what you see and hear. When empowered by this state of mind, objective realities matter. These are the truths on which good governance should be based and which exist outside of particular belief systems.
Our government doesn’t work — not because we have dysfunctional politicians, but because we have dysfunctional voters. As a scientist and educator, my goal, wouldn’t be to lead a dysfunctional electorate, but to bring an objective reality to the electorate so it could choose the right leaders in the first place.
NEIL deGRASSE TYSON, Astrophysicist, Director of the Hayden Planetarium at the American Museum of Natural History
(Luca Sofri su “Wittgenstein” cita altri due pensatori che vale la pena di non dimenticare: Montanelli e Vlad)