Sarà capitato a tutti di ascoltare, o magari di pronunciare, l’espressione “In certe zone d’Italia lo Stato non esiste“. Ma che significa? A guardare bene, ovunque si vada i carabinieri per strada li si incontra, le sedi comunali le si riconosce e, così, le scuole, gli uffici postali, qualche ospedale… Dunque, cosa vuol dire che “Lo Stato è assente“?
Vuol dire che le persone preposte a rappresentarlo – nel tempo del loro mandato elettorale o in quello della loro età lavorativa – derogano ai propri doveri, tradiscono la fiducia dei cittadini, si fanno beffa del patto che regge la società, cioè quel silenzioso confidare di chi crede nella democrazia per tutti e nel senso di responsabilità di ciascuno. Quando questa fitta rete di persone che “fanno” le istituzioni viene meno – si inceppa, si ferma, chiude gli occhi – lo Stato sparisce. E, addirittura, spesso diventa un nemico.
Una sentenza del Consiglio di Stato ha riconosciuto che un centro commerciale sorto nel territorio di Pompei è illegale, e ciò significa che tra le persone che rappresentano le nostre istituzioni, il nostro Stato, nessuno ha controllato, nessuno ha compiuto il proprio dovere, nessuno ha fermato un progetto che, a quanto pare, era abusivo, ma direi di più: era palesemente immorale.
Con tutta evidenza, non c’è da rispettare solo la legge, c’è da non avallare (più) progetti insostenibili, idee inique, proposte devastanti.
In un’area a rischio vulcanico (e in piena zona rossa), in una provincia che vanta record di disoccupazione e di emigrazione, in un territorio congestionato, ferito e abbandonato, in un comprensorio spaventosamente soggetto al ricatto camorristico, in una serie di comuni in cui i redditi familiari sono tra i più bassi della nazione, in una realtà che non sa assicurare i servizi essenziali, ebbene in questa zona d’Italia il business degli ultimi anni è stato ancora, come nell’ultimo mezzo secolo, quello del cemento, ovvero un business altamente sconvolgente per il territorio e ingannevole per la società. Il cemento ha rapinato e svuotato, ha cancellato e sepolto. E ormai, da oltre dieci anni, siamo sommersi di centri commerciali e di parcheggi multipiano interrati. Che sono sempre più vuoti, fradici, morti.
Ma c’è dell’altro.
Il caso in oggetto è emerso solo perché una società si è sentita vittima di concorrenza sleale, cioè non è stato sollevato da istituzioni attente e rigorose o da associazioni dal basso. Questo, se possibile, è forse l’elemento che lascia più basiti. Al di là di tale condizione, infatti, non c’è nulla, siamo sull’orlo di un abisso e, pertanto, è giunto il tempo in cui questioni del genere non vadano nemmeno più discusse. Francamente, non ha alcuna importanza sapere chi ha ragione e chi ha torto, la realtà (sociale, economica, ambientale) è che il paradigma con cui i nostri luoghi vengono continuamente violentati e il nostro tessuto sociale sempre più sfibrato è ormai anacronistico, se non consapevolmente colpevole. E’ giunto il tempo di togliere responsabilità pubbliche a chi ci ha spinto in questo buco, a chi ci ha riempito di macchine che producono illusioni e sfruttamento, a chi ci ha derubato del presente e del futuro.
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Piuttosto indicativa:

(tratta da “The Ecoist“)