Ritrarre ancora (sempre) Scampia come “centro del male” è sbagliato, sia perché fa credere che lì (e solo lì) si annidi la criminalità, sia perché rassicura tutto il resto del mondo (se il male è lì, evidentemente non è qui). Insomma, girare a Scampia un film sulla criminalità ci fa comodo: quel quartiere napoletano è un topos del male riconoscibile da tutti (ormai le Vele funzionano come la Tour Eiffel) e, in una certa misura, tranquillizza chi non vi abita. Ecco perché un’intera fiction girata a Scampia è, a mio avviso, un’operazione piuttosto pelosa: mi sembra che si alimenti del torbido, perdendo così qualsiasi ipotetica intenzione “di denuncia”, come sostiene Roberto Saviano.
D’altra parte, però, gli amministratori della Municipalità e il Sindaco di Napoli non fanno niente (o non abbastanza) per incidere su quella realtà (che, ovviamente, per quante eccezioni vi vogliamo trovare, resta problematica, se non addirittura spaventosa) e il loro opporsi alle riprese cinematografiche suona come una censura campanilistica e consolatoria. (Qui un articolo di Iurillo sulla querelle tra scrittore e sindaco).
Ma dal non essere d’accordo con Saviano all’esporre striscioni come questo ce ne vuole.
Sedersi davanti e dietro quello striscione e non provare alcun disagio è frutto della stessa logica degenerata (e collusa) di quei politici di livello nazionale che vorrebbero “strozzare chi scrive di mafia”. Mi vergogno per loro.
Come osservava un mio amico qualche giorno fa, «forse se avessero condiviso prima sul territorio il progetto cinematografico, si sarebbe potuto evitare la vergogna di questo striscione che (anche se poi rimosso) rimarrà il simbolo di questa polemica».
Oggi è uscita la notizia che la casa di produzione ha apportato qualche modifica alla sceneggiatura di “Gomorra 2”, il ché fa pensare che forse qualche ragione ce l’avevano, i critici locali.
Se posso, suggerirei a Roberto Saviano di stare più attento, la sua “mission” di denuncia deve ormai essere sempre accompagnata da spiragli di speranza: da una parte il far luce sulle oscurità, dall’altra il sostenere le piccole e flebili forze che localmente si oppongono e resistono e, talvolta, vincono lo strapotere arrogante e violento di chi ignora e offende il vivere civile. Raccontare il male e i territori asfissiati dal male è doveroso – e Roberto Saviano va apprezzato e sostenuto -, a patto però di non “costruirli” (letterariamente parlando) come un blocco unico e inamovibile. Saviano ha sempre fatto attenzione ai “resistenti” positivi, ma il suo lavoro incide sul reale molto più di quel che forse immagina, pertanto – come insegna questo caso – tra le cose che deve curare con attenzione c’è proprio il rapporto col territorio. Evidentemente la sceneggiatura aveva dei margini di miglioramento (o di negoziazione, se si vuole), come dimostrano i ritocchi apportati nelle ultime ore.
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