Umberto Eco ha scritto un articolo sulla bella Milano d’un tempo: “Questa mia povera città sturm und ‘ndrangheta” (“Repubblica”, 13 ottobre 2012).
E’ un testo all’imperfetto e c’è sempre da sospettare dinnanzi a questa forma verbale. Il passato aureo e nostalgico vi fa sempre capolino, il tempo di quando eravamo puri e ingenui. L’imperfetto suggerisce sempre una deresponsabilizzazione, perché rispetto ai “bei tempi” qualcosa è cambiato e il mondo è “degenerato” senza che ce ne accorgessimo. L’imperfetto si accompagna sempre ad un’altra idea fuorviante, ma altamente rassicurante per chi la usa, ovvero che il male venga sempre dall’esterno: siamo sempre contagiati da un virus che proviene da fuori, il nostro centro ne era sprovvisto, poi qualcosa ha bucato i confini e ha cominciato a trasformarci. Così, secondo Eco, Milano, che «non voleva prendere ordini da Roma ladrona e disprezzava il meridione, si è ridotta a prendere ordini dal peggio del profondo Sud». E’ una dinamica diffusa, ognuno di noi può sperimentare questa forma mentis per cui il nostro luogo (il nostro centro) è sempre puro (almeno in origine), fino a quando ciò che è all’esterno (oltre ciò che riteniamo frontiera) non entra nel nostro spazio di vita.
Ci sarebbe da discutere su chi ha inquinato chi, su chi è causa di cosa, ma finirebbe presto in uno sterile gioco al rimpiattino. Forse, invece, bisognerebbe porsi qualche domanda più seria sul sistema economico contemporaneo, che tra le sue voci strutturali necessita del surplus generato dalle mafie.
Può bastare, dunque, quel che propone Eco in chiusura del suo testo, ovvero una rinnovata morigeratezza da parte di tutti, soprattutto da parte dei politici? Direi proprio di no, se non ci vogliamo nuovamente illudere che per risollevarci basti uscire poco e guidare auto usate.
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